E si potevano mangiare anche le fragole!

Il video me l’ha mandato Flavio. Si vedeva questo ragazzino di quattordici, quindici anni, in controluce, su un tetto, al tramonto, mentre suonava con grande passione la sua chitarra elettrica, invadendo Piazza Navona, al tramonto, con la infinita poesia di Sally di Vasco Rossi.

Per commentare il video, Flavio aveva aggiunto tre parole vigliacche: “Questo eri tu”.

Il volo pindarico di una grammatica improbabile, un colpo mancino di cui solo gli amici che ti conoscono da una vita sono capaci. “Questo eri tu“.

Effettivamente. Un adolescente di folta chioma e profilo greco intento a combattere i suoi demoni, attorcigliato attorno ad una chitarra dal suono distorto.

A rendere tutto più forte c’erano le note di Sally, il testo che esse evocano, così incredibilmente adatto alla melodia della canzone:
“Perché la vita è un brivido che vola via, è tutto un equilibrio sopa la follia, sopra la follia”. La lancinante nostalgia di uno dei brani più belli mai scritti dal Blasco. “Per vivere davvero ogni momento, con ogni suo turbamento, come se fosse l’ultimo”.
La sua maestria nel narrare con poche, precise, parole, un universo di emozioni, la storia di una vita.

Quel giorno ho immaginato per la prima volta Clizia, la protagonista del mio ultimo romanzo, l’ho vista chitarrista rock e appassionata fan di Vasco Rossi. Ho deciso che Sally sarebbe stata la colonna sonora del libro e sin dalle prime righe ho messo al fianco di Clizia il gatto Cagliostro, prendendo ovviamente spunto da un felino molto noto ai lettori di Dylan Dog.

Ieri sono venuto a sapere che i prossimi numeri di Dylan Dog saranno dedicati a tre splendide canzoni del Blasco: Jenny, Albachiara e, ovviamente, Sally.

La magia di universi paralleli che si incontrano, chissà come, chissà dove.
Lo stupore di fili invisibili che si annodano.

La infinita capacità generativa delle opere d’arte, che scuotono, riempiono e fecondano la nostra anima.


Generando mille e più splendidi fiori.

22.6.2021

…senti che bel rumore.

I Ferragnez in maschera

Il Presidente del Consiglio ha chiamato la coppia più famosa d’Italia per chiedere loro di aiutarlo a diffondere l’utilizzo della mascherina tra i giovani. Chiara Ferragni e Fedez hanno accettato l’invito ed hanno entrambi realizzato un video in cui invitano i ragazzi ad utilizzare la mascherina.

La telefonata di Conte ha scatenato molte e aspre polemiche – come sempre accade quando si tratta di Chiara Ferragni prima ancora che di Fedez. Io credo invece che il Presidente del Consiglio abbia fatto la scelta giusta. È stato bravo lui a chiamarli, sono stati bravi loro ad accettare di mettersi in gioco.

Trovo che quella dei Ferragnez sia stata la risposta migliore alla infinita schiera di ex ministri (delle interiora), ex cantanti, ex intellettuali, ex attori, ex ballerine ed ex soubrette che negli ultimi mesi si sta riscoprendo improvvisamente “no-mask” pur di racimolare un minimo di visibilità.

Chiamiamo le cose col loro nome: loro hanno in squadra Salvini, Brigliadori, Sgarbi, Boldi e Montesano.

Noi, per ora, contiamo su, Fedez, Ferragni, Berlusconi, Vasco Rossi e Tasso.

Praticamente stiamo giocando Cittadella vs. Real Madrid (con tutto il rispetto per il Cittadella).

Roma 21.10.2020

Bravi ragazzi!

PS: Sì, in questa metafora le persone responsabili sono il Real Madrid… qualcuno mi ha chiesto di chiarire, su Facebook 😓

Un Magnifico Regalo

So che molto probabilmente deluderò molti di voi, ma la verità è che io sono un egoista. A me piace vivere bene e, per vivere bene, prima di tutto, penso a me stesso. Scusatemi, a chi altro dovrei pensare? In fondo, la società è un branco di lupi affamati dove tutti sono in guerra con tutti. Ci sono almeno tre citazioni che mi girano in testa da qualche giorno ed esprimono in maniera nitida questo concetto. La prima è il motto latino homo homini lupus;  la seconda è una frase che recita: “il tuo amore per il prossimo è il tuo cattivo amore per te stesso”; la terza, è una banale domanda retorica: “quando c’ho il mal di stomaco, ce l’ho io mica te, o no?”. La prima frase è stata resa celebre da Thomas Hobbes, la seconda è di Friedrich Nietszche e la terza di Vasco Rossi. A prescindere da quale sia il vostro filosofo preferito, il dato di fatto è che l’egoismo è una cosa naturale. L’uomo è schiavo dell’istinto di conservazione e, per conservare se stesso, è naturalmente disposto a fare qualsiasi cosa. Considerato che io sono molto uomo, e ci tengo a conservarmi bene, ho messo a punto alcune strategie che mi consentono di godermi pienamente la vita.

La prima di queste strategie consiste nel perdonare chi mi ha fatto del male. Lasciate che vi spieghi: dietro questa azione – apparentemente nobile ed altruista- si cela un grande equivoco dovuto al fatto che il verbo “perdonare” viene comunemente pensato ed utilizzato come se si trattasse di un verbo transitivo. Voglio dire, normalmente noi diciamo che abbiamo perdonato qualcuno o qualcuno ci chiede di essere perdonato. Ma la verità è che quando perdoniamo un’altra persona, stiamo, in realtà lavorando su noi stessi. Perdonare è un’azione essenzialmente riflessiva che coinvolge solo marginalmente altri esseri umani. Non ne siete convinti? Pensate un attimo a questo dato di fatto: la persona che abbiamo perdonato potrebbe anche non saperne nulla del nostro perdono – potrebbe persino essere morta, oppure, trovarsi lontano, in un’altra città, in un altro Paese. Queste circostanze non toglierebbero nulla al valore del gesto che abbiamo compiuto. Perché la verità è che il primo – ed alle volte anche l’unico- a beneficiare del perdono è lo stesso soggetto che perdona. A che serve infatti provare astio e rancore? Secondo una saggia frase -la cui paternità è, a dire il vero, incerta- “serbare rancore è come bere veleno e sperare che il tuo nemico muoia”.  Le cose stanno esattamente così: il rancore è un veleno di cui non abbiamo alcun bisogno. Fino a quando sarai inquieto, sentirai il dolore e l’umiliazione del torto che hai subito. Così facendo, aiuterai il tuo nemico a tenere sotto scacco la tua anima. Per quanto possa sembrare paradossale, persino chi ha deciso di vendicarsi non deve provare rancore, perché, insegna la saggezza popolare, la vendetta è come una red bull, deve essere consumata ghiacciata.

Zen

Si racconta di un uomo che si recava ogni giorno a pregare Dio perché lo aiutasse a perdonare il fratello maggiore che, a suo dire, aveva commesso un gravissimo torto nei suoi confronti. Un bel giorno, quell’uomo entrò nel tempio e cambiò finalmente la sua preghiera: “Dio mio, Ti ringrazio dal profondo del cuore per avermi dato la forza di perdonare mio fratello. Da oggi, posso tornare a vivere serenamente, perché, grazie ai Tuoi insegnamenti ed alla santa interdizione del Tuo spirito, mi sento finalmente in pace con il mio antico nemico. Vorrei solo chiederTi un ultimo consiglio: sapresti dirmi cosa devo farne del cadavere?”.

Al contrario di quell’uomo, io sono un egoista ed ho quindi imparato a perdonare. Non per superficialità, ma perché so benissimo che “rimettere” il debito altrui curerà, prima di tutto, le ferite della mia anima. Come dice la parola stessa, il perdono è un magnifico dono – ed io adoro farmi dei regali.

Camminare senza pesi
Un giorno, due monaci zen stavano percorrendo una strada di montagna per raggiungere un monastero che distava molti chilometri dalla città. Su quello stesso sentiero, a pochi passi di distanza, camminava spedita anche una giovane e graziosa ragazza. I monaci fecero in modo di non prestarle la minima attenzione, nel rispetto dei doveri che erano stati loro insegnati. Quando, dopo aver molto camminato in silenzio, arrivarono nei pressi di una grande pozza piovana, videro che la ragazza si era fermata, palesemente imbarazzata ed incerta sul da farsi. A quel punto, uno dei due decise di sollevare la ragazza e di aiutarla ad attraversare la pozza. Una volta giunti dall’altra parte, la giovane ringraziò e, con molto garbo, si allontanò, prendendo un diverso sentiero. Dopo molti chilometri, uno dei monaci ruppe finalmente il silenzio e chiese all’altro: “Perché hai toccato quella ragazza? Non ricordi che le nostre regole impongono di non avere nessun contatto con le donne?” L’altro rispose: “Io ho lasciato quella ragazza alla fine della pozza che abbiamo trovato sul nostro cammino, molti chilometri fa. Tu, invece, la stai ancora portando con te.”.

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