Il Maschilista Immaginario.

Si stanno lentamente assopendo le polemiche sulla morte della povera Tiziana Cantone, possiamo quindi tornare a ragionare con maggiore serenità su ciò che è accaduto. Riassumiamo brevemente i fatti: Tiziana Cantone si è suicidata perché è stata esposta ad un linciaggio mediatico a seguito della diffusione di alcuni video hard di cui era protagonista. La ragazza sapeva che stavano girando questi video ed ha successivamente deciso di inviarli a cinque suoi contatti tramite WhatsApp – lo ha fatto “per gioco”. In questi video si trovava in macchina con un amante; affermava spesso che il proprio fidanzato fosse un “cornuto” e chiedeva all’amante di confermare – facendo persino il nome e  il cognome del “cornuto”. Soprattutto, in uno di questi video diceva al suo amante: “ma che stai a fa il video? Bravo.” – questa frase è diventata virale, ispirando battute, gruppi su Facebook, sketch comici e finendo persino sulle t-shirt.

Una volta appresa la notizia del suicidio, la rete si è scatenata in una pletora di commenti più o meno sensati e giustificati. Molti utenti hanno scritto di vergognarsi per aver visto quel video, altri si sono vergognati di essere maschi, altri ancora si sono vergognati di avere un computer. Alcuni si sono spinti sino a scrivere frasi del tipo “io sono il branco”, pur non avendo avuto alcuna parte in questa triste vicenda – come dire: manie di protagonismo mascherate da sensi di colpa. A me, tutto ciò è sembrato sinceramente fuori luogo. Meglio: del tutto privo di senso. Proviamo a capirci.

1. “Imprudente” non significa “colpevole”.
Siamo di fronte alla tragica morte di una giovane donna che merita tutta la nostra solidarietà e il nostro rispetto. Ovviamente, nessuno deve pensare o scrivere “se l’è cercata“. Questo, però, non deve esimerci dal dire la verità. Perché non si può ottenere nulla di buono  raccontando frottole. Dobbiamo quindi aggiungere a quanto è stato scritto e detto due cose: la prima è che quella povera ragazza è stata obiettivamente ingenua e imprudente. Lo so che non volete sentirlo dire. Mi dispiace, ma “imprudente” non è il contrario di “vittima”. Cerchiamo di capirlo. Non possiamo bloccare il cervello davanti alla parola “vittima” e evitare di formulare ogni ragionamento ulteriore. “Imprudente” non significa che la colpa è stata sua – ci mancherebbe – significa che si è messa da sola in una condizione di rischio e pericolo. Il primo dato di fatto è che girare un video hard è rischioso. Il secondo dato di fatto è che mettere su un social network (perché whatssapp è un social network) quel video è ancor più rischioso. Questi sono discorsi non confutabili che non hanno nulla a che vedere con la libertà sessuale della donna, ma riguardano tutti: maschi, femmine, vecchi, bambini, umani e animali. Se ci tieni alla tua reputazione, evita di divulgare immagini porno. Abbiamo il dovere di scriverlo, per educare tutti – soprattutto i giovani – ad un corretto uso delle nuove tecnologie. Abbiamo il dovere di scriverlo per rispetto di altre donne che sono state filmate mentre venivano violentate e che potrebbero non essere troppo felici di vedersi accomunare al caso di Tiziana – questo, mi pare, è sfuggito a molti giornalisti, incluso Enrico Mentana.

2) Ma quale maschilismo d’Egitto!
Qui non c’entra nulla il fatto che il maschio italiano non accetta la libertà sessuale della donna. Lo so, anche questo non volete leggerlo. Perdonatemi.  Moltissimi hanno scritto una simile sciocchezza e pare che mentre scrivevano siano anche riusciti a restare seri – come avranno fatto? La rete ha vilipeso e perseguitato quella povera ragazza perché affermava di essere fidanzata e chiedeva al suo amante di confermare che il fidanzato fosse un cornuto. L’atto sessuale non c’entra nulla. Avete mai fatto un giro su internet? Vi risulta che i maschi insultino le donne che si mettono in mostra?

Facciamo un semplice esperimento mentale: se un maschio avesse fatto la stessa cosa, come avrebbero reagito le femministe, le madri, le figlie, le amanti, le nonne e le fidanzate d’Italia? Non l’avrebbero forse insultato e vilipeso per aver tradito la fidanzata? Quest’ultimo è l’esperimento fondamentale per comprendere se siamo di fronte ad un gesto discriminatorio o sessista. Prima di gridare allo scandalo, domandiamoci sempre: se questa cosa l’avesse fatta un maschio, una femmina, giovane o vecchio, etero o omosessuale, come avrebbe reagito la gente?

3. Conclusioni
In questo caso siamo quindi di fronte ad una vittima – la povera Tiziana – che è stata ingiustamente perseguitata e vessata. Dobbiamo sanzionare la condotta di chi ha diffuso quei video. Dobbiamo condannare la ottusa violenza verbale della rete. Ciò che ho scritto non giustifica in alcun modo nessuno dei protagonisti – mi sembra anche sciocco ripeterlo, ma è meglio andare sul sicuro.

Detto questo, lasciatemi contestare la fantasiosa ricostruzione diffusa dagli opinionisti di ogni genere e categoria. Se i colpevoli avessero diffuso solo il video, senza audio, non sarebbe accaduto niente di “strano”. Senza la battuta “ma che stai a girà il video?”, non sarebbe mai diventato virale, sarebbe stato solo un altro video di porno amatoriale; senza gli insulti al fidanzato, quella ragazza avrebbe avuto una bella schiera di fan – altro che cyberbullismo.

Insomma, il  voyeuristico “bigottismo” del maschio italiano – su cui ha insistito, tra gli altri, Roberto Saviano – c’entra pochissimo con quanto è accaduto. Raccontare favole non è un bel modo per difendere i diritti delle donne, soprattutto, non è il modo corretto di rispettare la dignità delle vittime.

Il Re del Nulla – Seconda Parte

La regola della sigaretta, ovviamente, funziona. Non facciamo in tempo a fare due tiri che già il 512 imbocca la via ed avanza verso di noi sbuffando e cigolando sulle sue vecchie sospensioni. Lento e inesorabile, come il destino. Riccioli d’oro si libera della  sigaretta velocemente, lanciandola in diagonale, con il polso morbido, come se dovesse scrollare via l’acqua dalle dita. Io, invece, allargo platealmente il braccio, sospiro, e poi la lascio cadere per terra in verticale, come un bomba. Poi infierisco con la suola delle scarpe. Se ci pensate, vi renderete conto che maschi e femmine fanno un sacco di cose in maniera tremendamente diversa, altro che no. Riusciamo ad entrare nel carro bestiame. Ci ritroviamo promiscuamente schiacciati contro il corpo di altri fortunatissimi utenti del trasporto pubblico romano. Siamo al limite della decenza. Ad esempio potrei fare la radiografia di tre o quattro persone attorno a me: il pisquano che si trova qui davanti deve aver fatto una colazione abbondante e ora ha i reni gonfi come un canotto. Invece, dietro di me c’è qualcuno che spinge come se stessimo per entrare allo stadio, o a un concerto rock. Peraltro, è molto felice di essere qui oggi. Immagino che uno di questi giorni mi ritroverò diecimila lire infilate nei boxer. Come mancia.

Insomma non posso muovere mezzo muscolo. L’unica cosa che riesco a fare è scambiare qualche sguardo di intesa con Riccioli d’oro che emerge e scompare da dietro uno zaino pieno di  FUAN e di slogan fascisti. Mi consolo leggendo perle di antica saggezza metropolitana, messaggi in una bottiglia che qualcuno ha voluto lasciare qui per me, tatuaggi incisi con l’uniposca sulla pelle di questo antico mostro. In sfregio all’autorità costituita. Iniziamo con un grande classico: “Se la Lazio è magica, cicciolina è vergine”, proseguiamo con un immaginifico “Ti ho servito il mio cuore bollito su fettine di culo, ma tu c’hai trovato un pelo sopra”, per arrivare ad un ben più allarmante e criptico “L’ingegnere del quinto piano è pazzo come la morte”. Tra tutte queste simpatiche facezie spicca la mia preferita: “Mr. Dado sei il più figo di tutti” condita da una miriade di cuoricini e punti esclamativi. Opera mia, ovviamente. Ne vado parecchio fiero altro che no. La riconosco dal modo in cui sono fatti i punti esclamativi. Ad esempio c’ho messo una settimana a imparare la calligrafia delle sbarbine e ora le mie scritte con l’uniposca rosa sembrano opera di una quattordicenne con gli ormoni impazziti. Dissemino questi messaggi sugli autobus e nei bagni – scuola, mac donald’s, discoteche…  Date retta a me, niente funziona più della pubblicità positiva.

Scendendo dal mezzo, saluto con lo sguardo Riccioli d’oro, che mi ricambia con un sorriso e prosegue la “corsa” verso il suo liceo. Dopo quindici minuti di camminata raggiungo il portone della scuola dove incontro il Pelo, il Chris, l’Orco e il Fly.

Io:”Bella ragazzi”
Todos: “Bella Mr.”.
Fly: “Pare che ci sia la supplente di Inglese”.
Io: “Ma dai! Mitico! Je famo la lente? Tocca a Pelo.”
Pelo: “Veramente toccherebbe al Mr., io l’ho fatta l’anno scorso al supplente di matematica, mortacci vostra, e mi sono pure beccato la materia a settembre”.
Chris:”A parte che la materia te la sei beccata perché sei una caaapraaaaa, secondo me ha ragione il Mr., sta a te fare la lente”.

La lente è uno scherzo che ho inventato io assieme al Chris, nelle lunghe giornate estive fatte di noia e biliardo. Funziona in questo modo: andiamo in un bar, in un supermercato o  in un altro luogo pubblico affollato, assieme a tre o quattro amici. A un certo punto, uno di noi molla una pacca sulla spalla del protagonista che urla disperato: “Noooo! M’hai fatto cascà la lente, mio padre m’ammazza!”. Iniziamo quindi a cercare la lente. Dopo una decina di minuti, almeno venti persone si ritroveranno con la schiena china e lo sguardo per terra, nella spasmodica ricerca di una lente che non esiste. Se non vi fa ridere non dovete preoccuparvi. Non è esattamente uno scherzo. Facciamo queste cose per vedere come reagiscono gli estranei. Non riuscite ad apprezzarne il fascino? Non c’è problema. Anche i dadaisti, all’inizio, non furono capiti. Ad ogni modo, a scuola lo facciamo quando c’è un supplente. Se va bene, riusciamo a perdere anche mezz’ora di lezione.

Nel bel mezzo della discussione interviene autorevole il Fly: “La lente la deve fare Bara perché ha saltato le ultime due adunate a casa mia senza un valido motivo e merita di essere punito”. Bara accetta senza battere un ciglio. Tuttavia sostiene che questo incarico lo esonera dal condividere col gruppo la prossima versione di latino. Nasce dunque una accesa discussione sui termini del nostro Sacro Regolamento quando si palesa dal nulla il buon vecchio Acido.

Acido è un ragazzo del III D famoso in tutta la scuola per due motivi. Il primo è che è stato bocciato per tre anni di fila in terzo. Il secondo è che è sempre completamente fumato, bevuto o comunque sia fatto di qualcosa di cui non riesce a ricordare o pronunciare il nome. In mano, ha una lattina con una fessura in stile salvadanaio. Cappellino di lana viola, camicia extralarge da taglialegna di Seattle, scarpe da basket, jeans scoloriti che probabilmente non hanno mai visto tempi peggiori. Bianco come un cencio, magrissimo, ha la faccia piena di brufoli.

Acido: “Bella raga, sto facendo la colletta per smettere di farmi. Non è che voi potete darmi una mano?”
Orco: “Come scusa?”
Acido: “Che sei deficiente? T’ho detto che voglio farla finita con la droga… cioè te sto a dì se voi potete chenneso aiutarmi… magari v’avanzano cinquecento lire.”
Orco: “E che ci devi fare?”
Acido: “Una cosa che mi ha insegnato mio cugino, dice tu prendi una lattina e ci metti dentro i soldi tutto l’anno, alla fine dell’anno apri la lattina…”
Chris: “E c’hai finalmente i soldi per andare in clinica a disintossicarti.”
Acido: “Naaaaa, se tutto va bene c’ho abbastanza soldi per comprarmi una dose spaziale. Metto su un pezzo dei Nirvana e B O O M, vi mando tutti a cagare”.

Restiamo per un lungo momento a guardarlo come si guarda un’equazione di secondo grado.

“Svegliaaaaaaa, è una battuta! Ahahah. Mio cugino dice che questo è l’unico modo per smettere”.

A quel punto, suona la campana.

Il Cuore della Questione

Sono le 7.45 di mattina di un livido lunedì 21 settembre. L’aria che si respira per strada è pulita, frizzante. Soffia un giocoso vento autunnale che si diverte a fare i mulinelli con la spazzatura. Una busta di plastica danza ipnotica davanti ai miei occhi come in quel film americano che abbiamo visto tutti. Se non ricordo male, il protagonista diceva che quella busta era di una bellezza commovente. Io vedo solo una busta che svolazza in una grigia strada di periferia e mi domando cosa li paghiamo a fare gli spazzini. Ma si sa che noi giovani siamo cinici per colpa degli hamburger e dei videogame. Alla fermata c’è un congruo numero di dannati in attesa del bus, come me. Per un attimo temo di non essermi coperto abbastanza, ma forse è solo una questione di orario e quando usciremo da scuola farà ancora caldo da sudare altro che no. Ad esempio due giorni fa ero a casa del Fly con l’Orco, Bara, il Chris e tutti gli altri. A un certo punto il Pelo dice: c’avete mai pensato a quanta parte della nostra vita perdiamo aspettando il 512? Abbiamo immediatamente sospeso il torneo di playstation e ci siamo messi a fare due conti. Alla fine è saltato fuori che perdiamo circa quindici giorni l’anno aspettando che arrivi questo maledettissimo autobus. Siamo rimasti di sasso. A voi sembrano pochi. Ma la verità è che perdere quindici giorni l’anno aspettando che arrivi l’autobus per andare a scuola è un crimine contro l’umanità.

Che poi mio padre dice che i mezzi pubblici sono carri bestiame. E c’ha pure ragione. Però di comprare il motorino non c’è verso perché Romaèunagiungla e devi avere mille occhi. Ad esempio con la macchina puoi anche fare un incidente e non succede nulla mentre col motorino setitoccanovoli. Lui però da giovane ce l’aveva, il motorino. Ma quelli erano altri tempi. Le strade erano deserte, il giornale costava centocinquanta lire e potevi anche fare il bagno nel Tevere. Cosa ci volete fare, il futuro non è più quello di una volta. Il risultato è che quando posso rimedio uno strappo da Bara – che invece il motorino ce l’ha perché i genitori sono divorziati e c’hanno i sensi di colpa quindi lo viziano. Lo so che in teoria non si potrebbe andare in due. Ma noi non andiamo in due, andiamo in quattro. Ad esempio, davanti, ritto come un totem, mettiamo il basso di Bara, poi c’è Bara, dietro a Bara ci sono io, aggrappato con una mano alla sua vita, mentre con l’altra reggo la chitarra elettrica. Siamo i veri supereroi contro la municipale altro che no. Bara dice che se ci dovessero mai fermare, suo padre inventerebbe una bestemmia così elaborata che lo chiamerebbero in Vaticano per avere delucidazioni.  Alle volte sospetto che a lui invece farebbe piacere, se ci fermassero, ci sequestrassero il mezzo e tutto quanto… Arriva il bus. Finalmente. Mi stacco indolente dal palo. Faccio due passi, giusto il tempo di piazzarmi al centro della carreggiata e mettere a fuoco il numero del mezzo pubblico che procede con strafottenza verso di me, sbuffando e ansimando come un dinosauro dal fondo di Via di Grotta Perfetta. Ora posso leggere chiaramente la cifra: 5.1.8. Palo.

Mi sembrava strano che proprio oggi arrivasse in orario. La verità è che il 512 non arriva mai, se lo aspetti. Credo che questa sia una ben precisa regola che è stata stabilita da qualche parte, in una di quelle oscure stanze del potere accessibili solo a chi ha superato i venti anni di età, guida la macchina, lavora e può permettersi di fare praticamente tutto quello che vuole nella vita altro che no. Me li immagino mentre discutono nella loro assemblea annuale degli uomini liberi.”Signori, vi prego, un attimo di silenzio:  parliamo dei pivelli, quanto li facciamo aspettare alla fermata del bus? Io propongo che aspettino almeno mezz’ora. Dobbiamo fare in modo che non dimentichino mai quale è il loro posto nella società. Di fatti, a loro è stato assegnato l’ambito posto dei quasiultimi.  Subito dopo le  badanti, ma un gradino più in alto dei raccoglitori di pomodori. Ultimi no, altrimenti potrebbero illudersi di contare qualcosa. Mi raccomando, signori, il cuore della questione è il quasi.”. Non sto male, no, sono solo un po’ stressato. Il fatto è che a sedici anni sei il re del nulla: troppo giovane per essere libero come un adulto e troppo grande per essere viziato come un bambino. Ad esempio perdo circa quindici giorni l’anno aspettando che arrivi un carro bestiame. Voi come vi sentireste, al posto mio?

Del 512 non c’è neanche l’ombra, in compenso, arriva riccioli d’oro. Finalmente. Le sorrido guardandola dritto negli occhi. Anche lei sorride e abbassa lo sguardo. Tuttavia, a differenza delle sua amiche non lo fa per controllare quali scarpe ho ai piedi. Vuoi perché riccioli d’oro è diversa, vuoi perché sa benissimo che anche oggi ho messo le solite scarpe da ginnastica da 19 euro e 90 centesimi. In saldo. Compro sempre le stesse scarpe da tre anni. Lo sanno tutti. Ho iniziato a farlo quando i miei coetanei hanno iniziato a salutare solo chi aveva le scarpe di un certo tipo. Roba che tu li saluti e loro ti guardano i piedi prima di rispondere. Questo è uno dei motivi per cui i miei coetanei mi fanno schifo e compassione allo stesso tempo. Cosa ci volete fare, noi adolescenti siamo capaci di emozioni complesse. Fatto sta che riccioli d’oro mi lancia uno sguardo complice e mi chiede se ho da fumare.

Le sorrido allungandole il pacchetto, sappiamo tutti e due cosa sta per accadere, perché la regola è che il 512 non arriva mai. A meno che tu non abbia appena acceso una sigaretta. (continua…)