“Da Paura”. Brevi Riflessioni sulla Festa della Zucca Vuota.

Non so cosa ne pensiate voi, ma molte persone si dichiarano contrarie ad Halloween, sostenendo che si tratta di una festività estranea alla nostra cultura, che, peraltro, avrebbe l’effetto di avvicinare i ragazzi al mondo dell’occulto.

Nel post di oggi, vi racconto che idea ci siamo fatti io ed il mio amico Federico.

Buona lettura e buon fine settimana.

“Un ragazzo e la sua fidanzata escono insieme e parcheggiano la macchina sul Viale dell’Amore. Mentre sono in tutt’altre faccende affaccendati, la radio trasmette questa notizia: un pericoloso serial killer, chiamato l’Uncino, è appena scappato dal Manicomio Criminale della vicina cittadina di Sunnydale. Dopo aver fornito alcune informazioni sul modus operandi del maniaco, lo speaker della radio conclude dicendo di segnalare alla polizia ogni persona sospetta e di stare lontani dai posti appartati dove le coppie vanno solitamente per trovare un po’ di intimità. A quel punto, la ragazza dice al ragazzo che vuole andare a casa, ma il ragazzo, che è parecchio muscoloso e gioca a rugby nella squadra locale, risponde di non avere nessuna paura del maniaco, facendole notare che il manicomio criminale si trova a parecchi chilometri di distanza”

1. Mercoledì sera sono andato al solito pub con il mio vecchio amico Federico. Tra una discussione impegnata e l’altra, abbiamo iniziato a parlare di Halloween.

-Insomma, sabato c’è il grande evento…
-Esatto.
-Tu cosa ne pensi?
-Mha, non lo so… se ti devo dire la verità, immagino che sarà una grande festa… ma in fondo in fondo mi fa un po’ paura.
-Lo sapevo. Sei il solito moralista bigotto, cattolico e reazionario.
-Non ti seguo.
-Ma si, dai, con questa storia che Halloween è pericolosa perché avvicina i bambini al mondo dell’occulto. Lascia che ti dica una cosa amicomio: c’avete il cervello tarato. Per carità, si tratta di una festività pagana, nessuno lo nega. Mi rendo anche conto che a voi non faccia per niente piacere vedere le bambine travestite da streghe ed i bambini da zombie, ma non venitemi a raccontare che il Maligno si serve di Halloween per corrompere queste piccole menti, perché a corrompere i bambini ci pensano gli adulti, e sto parlando delle madri ubriacone, delle maestre psicopatiche e dei pedofili di ogni risma e nazione. Adesso mi segui?
-No di certo. Io non mi riferivo mica ad Halloween.
-E di cosa parlavi?
-Di Inter -Roma. Sabato sera c’è l’anticipo.
-…
-…
-Beviamo?
-Beviamo.

Halloween 1

-Comunque non è che Halloween mi stia poi tanto simpatica.
-Perché?
-Perché consentiamo ai bambini di andare in giro travestiti da mostri a minacciare perfetti sconosciuti per avere in cambio qualcosa. Tanto vale che facciano un stage formativo presso  gli uffici di Equitalia. Almeno imparano un lavoro.
Amicomio, potresti essere serio per cinque minuti?
-Va bene. Parliamo seriamente: non mi piace perché si tratta di una festività importata, che chiaramente non appartiene alla nostra cultura, ma a quella anglosassone.
-A parte il fatto che secondo una teoria parecchio accreditata Halloween deriva da una antica festività romana in onore di Pomona – dea dei frutti e dei semi, tu mi vorresti dire che non ti piace perché si tratta di qualcosa di commerciale che abbiamo importato dagli Stati Uniti d’America? Esattamente come il rock, i libri di Stephen King, o l’Iphone?
-No. Halloween proviene dall’America esattamente come i fast food, i centri commerciali, il burro di arachidi, la parola “briefing”  e mille altre cose altrettanto chiaramente legate al mondo degli adoratori di Satana.
-…
-…
-Scherzi a parte, lo so benissimo che l’argomento della provenienza estera è debole, tanto più in un periodo storico come il nostro. Se proprio dobbiamo fare un discorso serio, sono convinto che Halloween sia importante perché funziona come valvola di sfogo, esattamente come le altre festività pagane.
-In che senso?
-Nel senso che viviamo in un mondo di regole, di leggi… di obblighi. Facciamo una vita orribile, fatta di guerre, crisi finanziarie, cravatte, separazioni e divorzi. Abbiamo bisogno di festività sovversive, che ci consentano di giocare con la nostra identità, di fare finta di essere qualcun altro, di mascherarci, allontanandoci dalle regole almeno per una notte. Rifletti su questo: ad Halloween i bambini possono chiedere caramelle agli sconosciuti. Insomma, possono infrangere la prima e fondamentale regola che tutti i genitori insegnano ai figli.
-Ci rifletterò. A naso, non mi sembra una bella cosa. La regola è una regola sensata, evita che i bambini facciano brutti incontri.
-Certo che lo è. Ma per consentire che sia rispettata tutto l’anno, devi permettere che venga violata, almeno per una notte e sotto il controllo degli adulti. Quando costruisci uno tempo eccezionale di libertà, la regola generale acquista vigore.
-Insomma la tua tesi è che Halloween è importante perché consente alle persone di travestirsi da ciò che non sono per una notte ed ottenere in cambio dolci e dolcetti?
-Più o meno.
-E non bastava S. Valentino?
-…
-…
-Beviamo?
-Beviamo.

-Insomma non ho ancora capito cosa ne pensi di Halloween.
-Mha, guarda… Da un lato, non puoi negare che Halloween possa avvicinare le persone al mondo dell’occulto. Voglio dire, quanti adolescenti sono fissati con zombie e vampiri? Quanti si vestono di nero, compiono gesti di autolesionismo e giocano a fare i depressi?
-Ti riferisci ai ragazzi che ascoltano una certa musica, usano certe droghe e fanno certi festini?
-Esatto.
-E secondo te si tratta di potenziali satanisti? Stiamo parlando di quattro ragazzini ignoranti come capre che hanno letto mezzo libro, ne hanno capito meno di un quarto ed usano la scusa dell’esoterismo per giocare a fare gli alternativi. Lascia che ti dica una cosa: “se il Diavolo li vedesse li prenderebbe a calci in culo” (cit. Nitro).
-Ne sono certo, ma ancora non ho capito perché per fare festa abbiamo bisogno di svuotare zucche e vestirci da zombie. Insomma, a me sembra che tra Halloween ed il Carnevale ci sia la stessa distanza che separa Manchester da Venezia, Spielberg da Fellini, il ketchup dal ragù che faceva mia nonna.
-Sei vecchio. Ed anche un po’ snob. In fondo, si tratta di una cosa che è partita in un certo modo da Roma ed è tornata stravolta dall’America.
-Come Marino?
-…
-…
-Beviamo.

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2. Una storia di paura
Di seguito, la “più quintessenziale” storia dell’orrore americana (a detta di Stephen King). Un racconto che gli adolescenti si tramandano da generazioni per spaventarsi vicendevolmente quando vanno in campeggio o nella notte di Halloween

“Un ragazzo e la sua fidanzata escono insieme e parcheggiano la macchina sul Viale dell’Amore. Mentre sono in tutt’altre faccende affaccendati, la radio trasmette questa notizia: un pericoloso maniaco omicida, chiamato l’Uncino, è appena scappato dal Manicomio Criminale della vicina cittadina di Sunnydale. Viene chiamato l’Unicino perché, al posto della mano destra ha un uncino affilato come un rasoio. Prima che lo arrestassero, l’Uncino usava sorprendere le coppie appartate, uccidere il ragazzo e tagliare la testa della ragazza. Quando lo presero, nel suo frigorifero c’erano quindici teste di giovani donne. Lo speaker della radio conclude dicendo di segnalare alla polizia ogni persona sospetta e di stare lontani dai posti appartati dove le coppie vanno solitamente per trovare un po’ di intimità. Allora la ragazza dice al ragazzo che vuole andare a casa, ma il ragazzo, che è parecchio muscoloso e gioca a rugby nella squadra locale, risponde di non avere nessuna paura del maniaco, facendole notare che il manicomio criminale si trova a parecchi chilometri di distanza. Ma la ragazza insiste che ha paura e che vuole tornare a casa. Il ragazzo non le presta attenzione e continua a baciarla come se niente fosse. Così, i due si intrattengono per almeno un’ora. Il viale dell’amore è deserto. I discorsi diffusi alla radio devono aver fatto scappare tutti. Ad un certo punto, lei sente un rumore, come un ramo che si spezza, come se ci fosse qualcuno nel bosco a guardarli, così diventa letteralmente isterica, il ragazzo prova a calmarla, dicendo di non aver sentito nulla, ma lei guarda nello specchietto retrovisore e si convince di aver visto qualcuno accovacciato dietro la macchina, che li osserva nell’ombra. E sogghigna. Considerato che lui continua a non prestarle la minima attenzione, la ragazza dice che non lo vorrà più vedere e che una volta tornati a casa lo lascerà per sempre. Al che il ragazzo si arrabbia, mette in moto la macchina e parte per riportarla a casa.

Quando arrivano, lui scende per aprirle la portiera, ma si blocca, occhi sgranati, bianco come un cencio. Lei chiede cosa c’è, ma lui sviene.

A quel punto la ragazza esce per soccorre il suo fidanzato, ma quando sbatte la portiera dell’auto sente uno strano suono metallico.  Si gira per vedere di cosa si tratti e lì, appeso alla maniglia, vede un uncino, tagliente ed affilato come un rasoio”.

“Lo Faccio Dopo”. Istruzioni per Riconoscere il Demone di “Accidia”.

1. Cosa intendiamo per “accidia”.
Secondo me “accidia” è un termine  parecchio appropriato, a suo modo, onomatopeico. Il suono è duro ed al tempo stesso molle – a causa della “i” centrale e, soprattutto, del dittongo finale. Se proviamo ad addentare questa parola, avvertiamo immediatamente una dolcezza acre che evoca lo stare sdraiati sul divano per ore a fissare il soffitto; interminabili viaggi dalla televisione al frigorifero nell’attesa che l’ispirazione per studiare o lavorare scenda magicamente dal cielo e si impossessi della nostra anima; intere giornate passate a crogiolarsi nel nulla, senza avere la forza o il desiderio di lavarsi i denti, farsi la barba, pettinarsi i capelli per uscire di casa. Attenzione, però l’accidia non è l’ozio, non si tratta di semplice pigrizia. Come sa benissimo Homer Simpson – ed i suoi infiniti allievi – il  pigro può essere tranquillo, sereno, felice. L’accidioso no, perché l’accidioso si tortura, infliggendosi il proprio castigo. Per questo, l’accidia rappresenta la ben più grave e perigliosa anticamera della depressione. Risultano davvero illuminanti, sul punto, le parole di uno tra i maggiori pensatori del novecento : “carceriere di me stesso invoco libertà ma so che la porta è chiusa a triplice mandata dall’interno, sono l’anima dannata messa a guardia del mio inferno” (Frankie H-Nrg). Insomma, l’accidia ha a che fare con lo smarrimento che avverte chi si è perso nel deserto: una sofferenza dell’anima, il tormento di chi sa che dovrebbe fare qualcosa, ma proprio non ce la fa – e si disprezza infinitamente per questo motivo. Se penso ad un esempio cinematografico, mi viene in mente Nanni Moretti che, indolente, si aggira ciondolante per casa e confessa alla figlia di annoiarsi a morte, perché nella vita nulla ha senso. Ma la ragazza, saggia ed impertinente, rimanda la palla nel campo del padre, rispondendo con un apparentemente tautologico: “ti annoi perché sei noioso”.
Sartre non avrebbe potuto scrivere di meglio.

Accidia3

Il fannullone iperattivo.
Non è lecito combattere l’accidia facendo semplicemente altre cose. Se leggiamo l’opinione dei classici, notiamo che una parte fondamentale di questo vizio consiste proprio nella smania di agire per stordirsi -per fuggire da sé.  Di nuovo, mi viene in mente il personaggio di un film di Moretti. Si tratta della ragazza a cui il protagonista domanda: “scusa, ma tu cosa fai nella vita?”, sentendosi rispondere con un vago ed estremamente allusivo: “giro, vedo gente, conosco, mi muovo… faccio delle cose”. L’accidioso sente il bisogno di incontrare qualcuno, di andare a trovare un malato, di intraprendere un viaggio, ma tradisce clamorosamente il senso di tutto ciò che fa. Animato dal disprezzo per il presente, per il luogo e per la condizione in cui si trova, egli vorrebbe solo distrarsi, guarire dal sentimento che lo affligge fiaccandone la volontà e la morale. Allora si getta a capofitto nel mondo – con l’urgenza bulimica che ottunde la ragione dell’affamato. Eppure, nel mondo non trova altro che la propria infinita tristezza, perché è stato proprio a causa del mondo e dei suoi eccessi che ha smarrito la retta via. Insomma, l’accidioso spera di trovare una risposta nella causa del suo stare male come l’ubriaco che sente la necessità di avere altro vino, ma non è più in grado di avvertirne il sapore.

Accidiosi lo siamo tutti, perché, tutti siamo, ciascuno a suo modo, “metà scimmia, metà aquila reale” (M.A.). Per salvarci da questo demone, dobbiamo stabilire e rispettare limiti inderogabili – nel lavoro, nella meditazione, nello svago. Se sembra uno sforzo inumano, dipende dal fatto che tendiamo a pensare di poterci salvare grazie alla semplice forza di volontà, mentre per essere sereni, attivi e costanti nel perseguire i nostri obiettivi abbiamo soprattutto bisogno di amore.

Alla fine di tutto questo.
Alcuni anni fa, mio padre mi raccontò la barzelletta del riccone che, un lunedì mattina, decide di lasciare il suo ufficio per andare a fare un giro al mare. Arrivato sulla spiaggia, prende una bella boccata d’ossigeno, sentendosi parecchio felice e realizzato. Tuttavia, mentre osserva compiaciuto il panorama, nota che sulla spiaggia c’è un altro uomo. A giudicare dalla barba lunga e dai vestiti logori, quel signore non deve passarsela proprio bene. Decide allora di mettere la propria sapienza al servizio del poveretto.

-Buongiorno, permetti una parola?
-Ma certo dottore, dica pure.

-Ti voglio spiegare come si sta al mondo, amico mio, affinché anche tu un giorno possa sentirti come mi sento io oggi
-Dica, dica.

-Quando io ero piccolo, avevo sei anni, ho inizato a lavorare nella bottega di mio nonno, mi pagavano 100 lire al giorno, ho lavorato molto duramente sai?
-E poi?

-Poi a dodici anni, con i soldi messi da parte, ho comprato un piccolo carretto per vendere gelati e così, mentre tutti i miei coetani giocavano e si divertivano, io lavoravo, sudavo e mettevo da parte.
-E poi?

-E poi, con quei soldi, ho aperto il primo negozio… ed ho sudato sette camicie, sai? Mentre tutti gli altri andavano in discoteca e si facevano pagare le vacanze dai genitori, io già ero un uomo maturo, con delle responsabilità.
-E poi?

-Poi ho aperto una catena di negozi ed ora che sono finalmente divenato il re del gelato artigianale posso mollare tuttto un lunedì mattina e venire qui, davanti a questo splendido mare, a fumare un sigarette e godermi il panorama.

-Dottò, io proprio quello stavo facendo!

I Sette Vizi Capitali. La Lussuria


Introduzione
Un giorno commisi l’imperdonabile errore di chiedere agli studenti del primo anno cosa fosse, secondo loro, la “hýbris”. La maggior parte della classe rimase basita, due pensavano che fosse un canale di mediaset premium (iris) mentre un altro voleva a tutti i costi convincermi che fosse la salsa di cetrioli normalmente utilizzata per condire il kebab – “mi fa una piadina? Con molta hýbris, grazie”. Ovviamente, mi riferivo al termine greco che allude alla colpa di aver superato i limiti connessi alla condizione umana: la cultura greca riteneva che gli esseri umani avrebbero potuto suscitare l’ira delle divinità per un eccesso di superbia, oppure, comportandosi come bestie. Per questo motivo, credo che la lussuria possa essere interpretata come hýbris. Parliamoci chiaramente: tutti i vizi implicano che il vizioso non abbia il senso della misura, ma nel caso di altre condotte – come, ad esempio l’invidia, l’accidia o l’avarizia – il parallelismo con la sregolatezza animale risulta sicuramente meno lampante e corretto.

Lussuria2

1. Pornography.
In linea di massima la lussuria richiede la presenza di (almeno) un complice. Eppure, si può essere tristemente e banalmente lussuriosi anche da soli. Tutto questo è ancor più vero nell’era di internet. Di fatti, la rete ha contribuito moltissimo alla diffusione della pornografia, mettendo sotto gli occhi di tutti l’infinita varietà delle perversioni sessuali. Pensate a ciò che volete – nomi, cose, animali, vegetali o città – sembra che non esista nulla che non possa essere inserito all’interno di un contesto erotico o, peggio ancora, pornografico. Come disse un mio amico che la sapeva lunga: “Se un giorno dovessero sparire tutti i siti pornografici da internet, resterebbe un solo sito con la scritta: “ridateci il porno”. Detto tra noi, credo che tutta questa pornografia non faccia bene agli internauti.
Avete presente la vecchia storiella per cui la pornografia rende ciechi? Si tratta di una di quelle cose che si dicono agli adolescenti per evitare che prendano cattive abitudini. A prima vista, sembrerebbe una sciocchezza a cui tutti abbiamo creduto almeno da piccoli – una favola paragonabile all’uomo nero che porta via i bambini che si comportano male o all’abolizione delle tasse sulla prima casa. La verità è che la pornografia rende davvero ciechi, non in senso medico, ma in senso filosofico. Di fatti, la visione di questo genere di immagini instaura una sorta di cortocircuito nella mente dei viziosi, impedendo loro di riconoscere il valore ed il senso del corpo (proprio ed altrui). Nella pornografia il corpo viene messo a nudo, ma paradossalmente si nasconde, eclissando il proprio significato più vero dietro la brutalità di un gesto inutile, perché meramente ludico e sportivo. Parliamoci chiaramente, quelli della mia generazione non avevano simili problemi. Noi preferivamo di gran lunga il reale al virtuale. Per questo motivo, pochi di noi hanno dovuto mettersi gli occhiali, mentre i giovani di uggi fanno fatiche anche a leggere quella che scrovono sui propri, insulsi, blog.

2. Il Mascalzone latino tra lussuria e parole.
Tempo fa, su internet, girava un post in cui venivano elencati tutti i modi per dire che una donna è una donna di facili costumi. Ne abbiamo a bizzeffe. Se consideriamo anche il vernacoliere, superiamo i 180 appellativi. Al contrario, esistono pochissimi modi di insultare un maschio asserendo che si tratta di un maschio di facili costumi – per lo più, si tratta di antichi e desueti termini dialettali.

Prestate attenzione a questo semplice ragionamento che chiamerò “il loop infinito della passeggiatrice”:
1) un maschio che ama camminare è un passeggiatore, una passeggiatrice è una donna allegra;
2) un uomo pieno di spirito e di vitalità è un uomo allegro,una donna allegra è una donna disponibile;
3) un maschio pronto a farsi in quattro per gli altri è un maschio disponibile, una femmina disponibile è una buona donna;
4) un uomo che fa volontariato è un uomo buono, una buona donna è una donnaccia;
5) un maschiaccio è un uomo antipatico e brutale, una donnaccia è una passeggiatrice.

Il fatto è che per la nostra cultura l’uomo che frequenta molte donne è un eroe, mentre una donna che frequenta molti uomini è una sciagurata. In tal modo, si palesa l’immensa ingenuità del maschio italiano che, da sempre, si illude di essere un seduttore di sante. Se volessimo trovare una differenza tra maschi e femmine, questa non starebbe di certo nella propensione al vizio, ma nel fatto che i primi “si vantano di fare cose che non hanno mai fatto, mentre le seconde hanno avventure che non racconteranno mai”.

3. Ispirazione
Queste brevissime considerazioni sulla lussuria mi sono venute in mente circa un mese fa, mentre stavo studiando il testo di un collega francese. Verso la metà del libro ho trovato un esplicito riferimento alla sregolatezza delle orge che si svolgono nella zona dei Castelli Romani. Sono rimasto parecchio stupito. Pensavo che i Castelli fossero famosi solo per la porchetta, il vino buono e la perniciosa presenza di tifosi laziali. Come prima cosa, ho dunque aggiornato il mio archivio mentale, aggiungendo a quanto menzionato l’hashtag #orge. Subito dopo, ho iniziato a pormi delle domande: cosa spinge i romani a darsi appuntamento in queste ville per lasciarsi andare alla più sfrenata e disinibita perversione? Per quale motivo persone apparentemente normali sentono il bisogno di scendere ad un tale livello di degradazione animale? Cosa scatta nella testa di questa gente?

Ma soprattutto, perché non mi invitano mai?

“Sei Meglio Tu”. Semplici Indizi per Smascherare un Superbo

Al contrario dell’invidia, la superbia sembrerebbe essere un vizio molto “rumoroso”. Eppure, i peggiori tra i superbi sono quelli che non lo danno troppo a vedere.

Questi individui si avvicinano a noi mimetizzati da persone normali, dimostrando di saper essere persino simpatici e brillanti. Tuttavia, non appena avremo abbassato le difese e li avremo fatti entrare nella nostra vita, saremo costretti a sopportarne la infinita ed inaccettabile protervia.

Per questo motivo, l’articolo di oggi è dedicato ai semplici indizi che ci consentono di smascherare un superbo ed allontanarlo dalla nostra vita.
Prima che sia troppo tardi.

Le persone superbe non sono particolarmente brave in nulla. Insomma, gli uomini che possiedono delle qualità non sono mai superbi. Il fatto è che per imparare a fare qualcosa, qualsiasi cosa, bisogna essere umili. In ogni campo si inizia dalle nozioni fondamentali, dai primi passi, da timidi e sgraziati tentativi. Si comincia sempre dal basso. Ma per il superbo è impossibile accettare di avere un Maestro. Ai suoi occhi, risulta parimenti inconcepibile l’idea di imparare osservando come si comporta un’altra persona. Anche quando provano ad imparare da soli, i  superbi non sono comunque in grado di migliorare, perché non riescono a comprendere i feedback che ricevono dalla realtà. Provo a spiegarmi: se una persona non riesce a fare qualcosa, anche una cosa banale, si ferma un attimo e si domanda “dove sto sbagliando?”. Se un superbo non riesce a fare qualcosa abbassa la testa ed insiste per ore come un mulo, continuando con lo stesso identico procedimento con cui ha iniziato. Quando, dopo un centinaio di fallimenti, ancora non sarà riuscito ad ottenere quello che voleva, inizierà a guardarsi intorno sospettoso, domandandosi chi sarà mai quel bastardo che porta sfiga. Questa è un’altra fondamentale caratteristica del superbo:  egli crede ciecamente nella sfortuna  – vera ed unica artefice di tutti i suoi fallimenti – e nella fortuna – che caratterizza, invece, i successi degli altri. Il superbo è talmente convinto che i suoi insuccessi dipendano esclusivamente dalla sua incredibile sfortuna da dichiarare al mondo di non essere superstizioso, perché porta iella.

Superbia

Ancora, il superbo non sopporta le leggi, perché, come insegniamo alle matricole del primo anno di studi in Giurisprudenza, le norme giuridiche sono strutturalmente generali ed astratte. Ciò a dire, la norma giuridica riguarda la generalità dei consociati – oppure, chiunque si trovi ad avere un determinato status.  Provo a spiegarmi facendo qualche esempio: “Chiunque sottrae la cosa mobile altrui (ruba) è punito con la pena di…”; “Il Presidente della Repubblica (qualsiasi Presidente) ha il potere di…”; Il Sindaco di Roma (qualsiasi Sindaco) non può andare a cena con il Papa se non viene invitato. Ovviamente, tutto ciò risulterà parecchio urticante per il superbo. Per Sua Unicità, dover rispettare le regole risulta tanto comodo quanto indossare un maglione di lana a collo alto il 15 agosto.  Messo di fronte ad una regola, si sentirà con le spalle al muro, ed inizierà a dibattersi come una falena contro una lampadina al neon. “Siamo proprio sicuri che non si possa fare un’eccezione?”. Le leggi valgono per le persone comuni, lui, invece, è una superstar.

Come diretto ed importantissimo corollario, il superbo è un ritardatario da competizione. Passiamo metà della nostra vita ad aspettare che queste persone si ricordino dove ci hanno lasciati. In fondo, è solo il nostro tempo che stanno sprecando, per quale motivo dovrebbero preoccuparsi? Non vorrei apparire eccessivamente caustico, ma credo di conoscere almeno un superbo che sarebbe capace di arrivare tardi anche il giorno del suo funerale.

Infine, i superbi sono tristi. Sempre. Perché la società, gli amici, i parenti e Dio non si dimostrano mai in grado di offrire il giusto tributo alla loro sconfinata grandezza. Sua Magnificenza è sempre convinto di meritare il massimo, qualsiasi cosa faccia, in qualunque modo lo faccia. Per questo motivo, non sarà mai soddisfatto della sua casa, della sua macchina, della sua famiglia. Si sentirà un genio incompreso e maltrattato da una società troppo stupida e volgare per apprezzarne l’infinita genialità. L’unico modo per fargli capire come stanno realmente le cose è usare l’ironia, ad esempio, potreste regalargli una t.shirt con la scritta “Dio è morto, Marx è morto ed anche io non mi sento benissimo”, oppure, scegliere la più diretta e veritiera: “Dio esiste. Ma non sei tu. Rilassati”.

2. La ragione è dei fessi
Se quanto detto sino ad ora dovesse sembrarvi poco, aggiungo che è praticamente impossibile discutere con un superbo. A prescindere da quale sia l’argomento della conversazione, Sua Magnificenza ne capirà e ne saprà comunque più di voi. Non sperate di risolvere la discussione chiamando in causa l’opinione di un esperto, il Superbo resterà del tutto indifferente alle vostre citazioni dotte, perché egli non ammette che esista alcuna autorità al di fuori della sua (piccola) testa.

Freud, riprendendo un’antica intuizione di Kant, scrive che tutto questo dipende dal fatto che il superbo è un ipocrita.

Ma io sono convinto che si sbaglino entrambi.

3. Epilogo. “La dura realtà”.

Una sera di qualche anno fa mi trovavo in macchina con la mia (ex) fidanzata. Avevo capito che lei, quando uscivamo insieme, non era serena. Intuivo il motivo di questo disagio e sentivo che dovevo assolutamente fare qualcosa, prima che la situazione degenerasse.

-Vedi, tesoro, io non vorrei mai che tu ti sentissi in imbarazzo, bloccata o peggio ancora sotto esame quando sei con me. Tutto quello che io ho fatto ed ottenuto nella vita – il mio successo – non ha nulla a che fare con la nostra storia. Io vorrei davvero che tu, quando sei con me, fossi rilassata, spontanea, a tuo agio. Ecco, a me piacerebbe che  tu ti comportassi  con me come ti comporti con i tuoi amici. Io voglio vedere la vera te, voglio stare con la vera te, non con una persona tesissima che vive con la tremenda paura di commettere irreparabili errori ogni volta che dice o fa qualcosa. Per questo motivo, ti prego, ti prego, ti prego: considerami e trattami semplicemente per quello che sono.

-E cosa saresti?

-Il numero uno.

Sette Vizi Capitali. L’Invidia.

Senza ombra di dubbio, l’invidia è uno tra i vizi capitali più diffusi nel nostro Paese. Alzi la mano chi non ha mai provato invidia in vita sua e, soprattutto, chi non si è mai sentito invidiato. Non sapete di cosa sto parlando? Non ci credo. Se l’invidia facesse crescere le ali, l’Italia sarebbe un aeroporto. Osservatela bene.
Non è uno stivale, è una portaerei.

Sette VIzi

1. Tre famiglie
Gli invidiosi possono essere divisi in tre grandi famiglie:

1) quelli che scompaiono. Quando le cose non girano per il verso giusto, queste persone vi telefonano, vi scrivono su whatsup, vi mandano sms, lettere, messi comunali e piccioni viaggiatori. Insomma, vi stalkizzano giorno e notte senza alcuna pietà. Al minimo cenno di ripresa, diventano ombre del passato. Privi di sangue e disperati- come anime affogate nello Stige – strisciano furtivi alle vostre spalle. Imitando l’omicida di Scream.

Se proprio non riusciranno ad evitarvi, faranno finta di non sapere nulla di ciò che avete fatto o ottenuto di buono nella vita. Per quanto possano sforzarsi, vi accorgerete immediatamente della loro sofferenza, perché la verità è che niente fa più rumore del silenzio di un invidioso.

2) quelli che ti offendono facendoti i complimenti. “Che occhi fantastici che hai! Si notano molto… forse perché sono l’unica cosa bella del tuo viso!”. “Ho dato un’occhiata al tuo blog. Complimenti per le citazioni! Ed anche per le foto che usi. Peccato che entrambe le cose non siano tue!”. Esattamente come il Sindaco Marino, queste persone partono bene. Ma si tradiscono da sole. E finiscono per fare una brutta figura.

3) quelli che si comportano come la volpe della famosa favola, disprezzando apertamente ciò che non possono avere. Io, ad esempio, me ne sono fregato del fatto che non mi abbiano riconosciuto neanche una misera nomination ai “premi della rete” In fondo, ho solo totalizzato 150.000 visualizzazioni in meno di un anno, per quale motivo avrei dovuto aspettarmi di ricevere un seppur minimo riconoscimento?

2. Invidia è autolesionismo
Gli invidiosi danneggiano prima di tutto se stessi.  Sono vittime di un atteggiamento negativo che li allontana irrimediabilmente dal successo. Chi prova invidia si convince facilmente che il prossimo non ha alcun diritto di avere ciò che ha – o di essere ciò che è. Il risultato di queste convinzioni è che l’invidioso non sarà mai in grado di impegnarsi per ottenere qualcosa.

Che senso avrebbe darsi da fare, se, in fondo, è tutta questione di fortuna?

Questa è la immensa differenza che separa l’invidia dall’ammirazione. Chi ammira riconosce la grandezza altrui, anche se (di)spera di poter raggiungere gli stessi obiettivi raggiunti dal suo modello. Per questo motivo, dall’ammirazione nasce sforzo, passione e, spesso, amore. Dall’invidia, invece, non nasce nulla. Se non cattiveria e frustrazione.

3. Il successo del panino al prosciutto
L’invidia è tanto diffusa perché le persone tendono a confondere due categorie di beni: i beni competitivi ed i beni non competitivi.

Per fare un esempio, pensiamo alla differenza che passa tra un panino al prosciutto – bene competitivo per eccellenza – e la cultura – che è, invece, un bene non competitivo. Il panino è un bene esclusivo e competitivo, perché, per essere sfruttato ed apprezzato pienamente, deve appartenere ad una sola persona. Se (con)dividi il tuo panino, resterai con mezza merenda tra le mani – a meno che tu non sappia fare altri giochetti, come camminare sulle acque o resuscitare i morti.

La cultura, al contrario, è non competitiva: se (con)dividi le tue idee con qualcuno, avrai in cambio idee migliori, oppure, il doppio delle idee.

Per smetterla di essere invidiosi dobbiamo renderci conto che il successo non è un bene esclusivo e competitivo. Il mondo è grande, c’è posto per tutti! Ogni giorno abbiamo infinte occasioni per essere felici e realizzare i nostri desideri – la prima delle quali è svegliarsi presto e rimboccarsi le maniche.

Voglio dire: la scandalosa fortuna del nostro vicino di casa non ci danneggerà in alcun modo. Se lui esce con Giorgia Palmas questo non significa che noi saremo costretti a sposare la moglie di Fantozzi.

4. Il genio del manuale
La parola “invidia” deriva dal latino “in”- “videre” che significa, letteralmente, “guardare di sbieco” qualcuno. Forse per questo motivo, ho sempre trovato deliziosa questa storiella: una notte, mentre sta pulendo un polveroso manuale di diritto privato, un docente universitario riesce ad evocare un genio.

“Chiarissimo, Professore, La ringrazio per avermi liberato! Per compensarLa, esaudirò un Suo desiderio”.

“Solo uno?” .

“Solo uno. C’è la crisi. E poi, ce lo chiede l’Europa” .

“Qualsiasi cosa?”.

“Si, ma tenga presente che farò avere il doppio di ciò che mi chiede
al suo più acerrimo rivale accademico”.

“Cavami un occhio”.