Dieci New Entry

Cari amici, pare che lunedì scorso un miliardo di persone abbiano utilizzato Facebook. Si tratta di un traguardo parecchio importante che Mark Zuckerberg ha ritenuto di dover giustamente festeggiare con un video celebrativo. Dal canto mio, ho deciso di proporvi 10 new entry per la nostra vecchia classifica.

Cari amici, pare che lunedì scorso un miliardo di persone abbiano utilizzato Facebook. Si tratta di un traguardo parecchio importante che Mark Zuckerberg ha ritenuto di dover giustamente  festeggiare con un video celebrativo. Dal canto mio, ho deciso di proporvi dieci new entry per la nostra vecchia classifica.

Status Due

10) Quelli che pubblicano le ricevute delle scommesse (vinte). Carissimi scommettitori vincenti, potreste cortesemente festeggiare con maggiore discrezione? Non credo che sia molto educato sbattere in faccia agli altri la vostra immensa fortuna… a meno che non intendiate offrire da bere.
A tutti.

9) Le ragazze difficili. Pubblicano continuamente stralci di conversazioni private per mettere in ridicolo qualcuno che “ci ha provato”, comportandosi come i selvaggi che appendono alle porte di una città la testa mozzata dei nemici uccisi (in stile Games of Thrones, o ISIS). Abbiamo capito, avete condiviso centinaia di selfie in vestiti discinti ed ora volete farci sapere che non siete “ragazze facili”. E va bene. Ma sparare sulla croce rossa non farà di voi delle dame ottocentesche.

8) Quelli che usano milioni di hashtag.
A caso.
#Siete sicuri di #sapere #come usare #questo #strumento?
Ripetete lentamente con me: non è mostrandomi giovane che eviterò di fare la figura del deficiente.

7) Haters. Quelli che scrivono che odiano il lunedì, il caldo, il freddo, la pioggia ed andare a lavorare. Propongo di fare una petizione su change.org per chiedere a Mark Zuckerberg di consentirci di segnalare anche i contenuti banali. “Questo contenuto mi offende perché è originale quanto una borsa cinese” (e sappiamo tutti che quando la borsa cinese va in malora, il prezzo degli involtini primavera sale alle stelle).

6) I Genitori. Vi chiediamo solo una cosa: abbiate, per favore, pietà di noi. Avete letteralmente invaso Facebook con le foto dei vostri pargoli: Marco al mare; Marco dal dentista; Marco sul vasetto… A parte il fatto che state mettendo a dura prova la nostra salute mentale,  così facendo, mettete a rischio la sicurezza dei vostri bambini. Che fine faranno queste foto? Chi le guarderà? Pensateci. E se proprio non potete fare a meno di condividere immagini e filmati dei vostri figli, fate un provino al Mulino Bianco, magari vi assumono come famiglia felice – altro che Banderas.

5) I terroristi, ovvero, quelli che minacciano. “Da domani faccio pulizia”; “tenetevi pronti, cancellerò almeno il 20% dei contatti”; “i nati prima del ‘92 sappiano che saranno cancellati, bloccati e perseguitati dalla mia ira. I tifosi della Lazio anche”… Tra il terrorismo, l’immigrazione e le tasse abbiamo già tanti problemi, perché volete farci soffrire ancora? Non capite che senza i vostri post la nostra vita perderebbe completamente di senso? Insomma… pensate  davvero che tutto il mondo giri attorno a voi? Fatevi vedere, potrebbe essere labirintite.

4) I citatori seriali. Questa categoria di utenti mi è stata segnalata da una simpatica lettrice. Alcuni dei nostri contatti condividono solo citazioni. Certamente, le frasi di Pavese, Hegel e Buddha rappresentano una boccata d’aria fresca – in un mondo di commenti razzisti e donnine discinte.  Eppure, il citatore seriale dà l’impressione di aver semplicemente fatto “copia e incolla”, per apparire “intelligente” e “colto”, senza essersi in alcun modo sforzato di elaborare e condividere il suo pensiero. Peraltro, capita anche che la citazione sia palesemente sbagliata. Come scrisse Dante Alighieri: “Se non avete niente da dire, usate Instagram”.

3) I citatori  seriali (in costume da bagno). In questi ultimi mesi, ho notato che si sta diffondendo una interessante variante dei citatori seriali della quale credo sia bene discutere: il citatore in costume da bagno. Da giugno hanno infatti iniziato a dilagare post del tipo “il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me” (Kant) con allegata una bella foto in due pezzi – per rendere più incisivo il concetto. Cari citatori in costume da bagno, immagino che aggiungiate una citazione perché temete che – a forza di pubblicare selfie – i vostri contatti possano iniziare a chiedersi se siete stupidi.
Il mio consiglio è di lasciarli nel dubbio.

2) Dottor Google. Per curare ogni malatia, è sufficiente bere olio di semi bollente, mangiare limoni (rigorosamente bio) e camminare nei boschi all’alba, recitando il mantra della guarigione cosmica. Lasciate che vi sveli un segreto: non ci si cura su Internet. La medicina è una cosa seria, richiede anni di duro studio e di costante aggiornamento. Vi rendete conto che condividendo certe sciocchezze mettete a rischio la salute di tutti? E poi,  la carne fa male, la red bull fa male,  la nutella fa male. La coca cola fa malissimo. A parte il fatto che nella maggior parte dei casi il problema è l’abuso – non l’uso – di queste sostanze, ricordatevi sempre che non ha senso vivere da malati per morire da sani.

1) Quelli che vogliono insegnare agli altri ad utilizzare Facebook. La rete è libera. La rete è democratica. Ciascuno ha il diritto di pubblicare e condividere ciò che vuole. Per questo motivo, anche io mi sono sentito libero di pubblicare ed aggiornare la mia classifica, proponendovi le new entry. Fatemi sapere cosa ne pensate.

Una Visione del Paradiso

Un giorno, gli abitanti di un villaggio chiesero ad un Profeta di descrivere l’inferno. Dopo aver meditato a lungo, il Profeta disse: “dovete immaginare un immenso salone delle cerimonie…”

Un giorno, gli abitanti di un villaggio chiesero ad un Profeta di descrivere l’inferno. Dopo aver meditato a lungo, il Profeta disse: “dovete immaginare un immenso salone delle cerimonie. Al centro di questo salone c’è una tavola imbandita con ottimo cibo e pregiatissimi vini. Seduti a tavola ci sono tanti ospiti. Sono tutti affamati e sono tutti molto tristi, perché hanno posate lunghissime legate ai gomiti: possono infilzare il cibo, ma non riescono a portarlo alla bocca”.

Al che, il capo del villaggio domandò: “Ed il paradiso? Come è fatto il paradiso?”

Il Profeta rispose: “dovete immaginare il paradiso come se fosse un immenso salone delle cerimonie. Al centro di questo salone c’è una tavola imbandita con cibo succulento e pregiatissimi vini. Seduti a tavola ci sono tanti ospiti. Sono tutti affamati ed hanno posate lunghissime legate ai gomiti”.

Udite queste parole, la folla iniziò a rumoreggiare, ma solo il matto del villaggio ebbe il coraggio di prendere la parola ed obiettare: “Ma cosa state mai dicendo? Il Paradiso e l’Inferno sono dunque la stessa cosa?”

Allora il Profeta rispose: “Ti sbagli, amico mio. Le persone che siedono a tavola in Paradiso sono felici perché hanno capito che possono darsi da mangiare gli uni con gli altri”.

Alcuni autori attribuiscono la paternità di questo racconto a Buddha, altri a Mao, altri ancora ad Oliver Sacks. Non sono ancora riuscito a capire chi abbia ragione. Ad ogni modo, trovo che si tratti di una storia davvero interessante. Per alcuni aspetti, si tratta di una perfetta allegoria, per altri, ci porta completamente fuori strada.

 1. Ciò che mi piace di questa storia
Giustamente, l’inferno viene presentato come se fosse il regno dell’egoismo. Ciascuno pensa esclusivamente a sé, quindi, sono tutti poveri. I dannati sono eternamente insoddisfatti, costretti a desiderare in eterno un cibo che non potranno mai mettere sotto i denti. Questo è un paradosso davvero affascinante. L’errore in cui cadiamo tutti almeno una volta nella vita. Pensiamo di essere furbi quando ci “risparmiamo”, quando seguiamo il celebre consiglio dell’on. Razzi e “ci facciamo i fatti nostri”, quando evitiamo di condividere con gli altri ciò che possediamo di bello e di desiderabile. La verità è che a lungo andare l’egoismo riempirà la nostra dispensa, ma svuoterà la nostra anima.

Non a caso, Elias Canetti ha scritto che il misantropo digiuna per sei giorni ed il settimo mangia da solo.

D’altro canto, la storia che vi ho appena raccontato è una perfetta metafora della comunità. Come ricorda Roberto Esposito, il termine italiano “comunità” viene dalla unione delle parole latine cum e munus. Questo significa che ogni comunità è un dovere ed un dono reciproco. Possiamo conoscere la gioia del paradiso solo se viviamo in pace e reciproca comunione con i nostri fratelli.

 2. Ciò che non mi piace.
Non mi piace il fatto che questa descrizione del paradiso ruoti attorno all’idea di reciprocità. Voglio dire: è molto bello pensare che gli altri ci diano qualcosa in cambio del cibo che offriamo loro. Ma tutti sappiamo che le cose non stanno sempre così. Non a caso, Sartre ha scritto che “l’inferno sono gli altri” (Umberto Tozzi ha risposto che “gli altri siamo noi” ed Emis Killa ha concluso magistralmente che “l’inferno siamo noi”). Spesso, quando offriamo da mangiare, non riceviamo in cambio nulla – se non ingratitudine e frustrazione.

Ecco, io credo che se vogliamo davvero capire cosa è il paradiso, dobbiamo abbandonare del tutto questa idea di reciprocità. La gioia del donare è nel dono. Punto. Non c’è niente dopo, non c’è niente in cambio.

Ciò che l’altro mi offre non sono i suoi avanzi – il cibo a cui egli non può arrivare. Ciò che egli mi offre è la sua fame. Per quanto possa sembrare paradossale, l’altro mette a mia disposizione la sua indigenza: la drammatica urgenza di una pancia vuota che mi consente di uscire dal guscio del mio egoismo e di scoprirmi, nel dono, pienamente libero e pienamente uomo.

L’unica persona peggiore di un avaro è la persona che offre qualcosa con un secondo fine. Come quegli ambulanti che ti fermano per strada, ti mettono in mano un “regalo” e poi ti chiedono in cambio un’offerta.

3. Citazioni conclusive.
Non avendo mai fatto esperienza del paradiso, possiamo solo fare congetture. Come quella battuta che dice “il paradiso è un posto dove i cuochi sono francesi, gli amanti sono italiani, i poliziotti sono inglesi, i meccanici sono tedeschi. Ed è tutto organizzato dagli svizzeri. L’inferno è un posto dove i cuochi sono inglesi, gli amanti sono svizzeri, i meccanici sono francesi, i poliziotti sono tedeschi. Ed è tutto organizzato dagli italiani”.

Ad ogni modo, queste sono le mie citazioni preferite sul tema di oggi:

1) “La tristezza chiude le porte del paradiso, la preghiera le apre, la gioia le abbatte”
(antico proverbio ebraico)

2) “Preferisco il paradiso per il clima e l’inferno per la compagnia”
(Mark Twain)

3) “Che tu possa arrivare in paradiso mezz’ora prima che il diavolo sappia che sei morto” (antico proverbio irlandese).

La Mia Parte

Una antica favola africana racconta del giorno in cui scoppiò un grande incendio nella foresta.
Tutti gli animali abbandonarono le loro tane e scapparono spaventati.
Mentre se la dava letteralmente a gambe, il leone vide un colibrì che stava volando nella direzione sbagliata.
“Dove credi di andare?” – chiese il Re della Foresta – “c’è un incendio, dobbiamo scappare!”.
Il colibrì rispose: “Vado al lago, per raccogliere acqua da buttare acqua sull’incendio”.
Il leone domandò prontamente: “Sarai mica impazzito? Non crederai di poter spegnere un incendio gigantesco con quattro gocce d’acqua?”
Al che, il colibrì concluse: “Io faccio la mia parte”.

Forest 1

Credo che questa sia una delle storielle più istruttive che conosco, una di quelle favole che tutte le maestre dovrebbero raccontare e spiegare ai propri allievi. A prima vista, potrebbe sembrare un volantino del movimento cinque stelle, ma se leggiamo bene incontriamo molte suggestioni. Tutte interessanti. Da un lato c’è questo Leone/Schettino che, a fronte di un pericoloso incendio, dimostra di non avere troppo coraggio, scappando prima e più velocemente di tutti gli altri; dall’altro, un piccolo colibrì che, con il suo esempio, insegna agli altri animali che se tutti facessero la propria parte l’incendio sarebbe domato e la casa comune sarebbe salva.

Tutto questo mi fa venire in mente una frase di Madre Teresa di Calcutta che recita: “Quello che facciamo è soltanto una goccia nell’oceano, ma se non ci fosse quella goccia, all’oceano mancherebbe”; mi fa pensare ad un antico adagio cinese: “un viaggio di mille chilometri inizia con il primo passo”; infine, mi richiama alla mente un racconto di Stephen King che si conclude con queste parole: uccidere i vampiri è come smettere di bere, da qualche parte bisogna pure iniziare.

Le frasi che ho appena citato espongono concetti diversi, ma, a loro modo, collegati. L’insegnamento di Madre Teresa rappresenta un invito a riconsiderare l’importanza di tutto ciò che, apparentemente, è piccolo ed insignificante. L’oceano è fatto da miliardi di gocce, un libro di mille pagine si compone di singole parole, il caldo asfissiante di questi giorni da tanti gradi, messi uno accanto all’altro… Nella coscienza di tutti noi alberga un disfattista che, svalutando le piccole cose, ci suggerisce costantemente di prendere la strada sbagliata, affermando che non saranno questi venti euro di risparmio a fare la nostra ricchezza, che non sarà rinunciare a questa singola sigaretta a salvare la nostra salute, che evitare di buttare questa piccola carta per terra non renderà più pulita la città in cui viviamo, visto che comunque ci sono gli altri a sporcare – e poi salta fuori Gassman che, tweettando da un’altra nazione, ci invita a prendere la ramazza e ripulire… Si tratta di una voce che tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo sentito e seguito, ma non si tratta di una buona voce, credetemi.

Una battuta che piace tanto agli americani racconta che quando chiesero a Paperon de’ Paperoni come avesse fatto a mettere da parte la sua fortuna, il più ricco dei paperi rispose: un dollaro alla volta.

Dal canto suo, Lao Tse ci ricorda che l’inizio è sempre umile, piccolo, insignificante. Quante volte, a fronte di un qualsiasi progetto, ci siamo fermati prima ancora di iniziare, perché il punto di arrivo sembrava troppo grande, troppo complicato, impossibile da realizzare? In quei momenti dobbiamo ricordare a noi stessi la prima legge del samurai: se non sai da dove iniziare, inizia dagli angoli. Ovvero, inizia da ciò che è periferico, facile da controllare, ben definito. La cosa importante non è il risultato che otterrai dopo un’ora, un giorno, un mese di lavoro, la cosa importante è che concentrandoti su qualcosa di fattibile troverai la forza di iniziare. Quindi si tratta di imparare a scomporre, a dividere, ogni progetto in tanti piccoli obiettivi minori – gli psicologi la chiamano, la tecnica dei piccoli passi.  Come urlava un allenatore di palla a nuoto interpretato dal bravissimo Silvio Orlando, in un film di qualche anno fa, “un gol alla volta! Dobbiamo recuperare un gol alla volta!”.

Da ultimo, Stephen King. Il Re dell’orrore ha scritto molto di vampiri e sui vampiri. Con una certa lungimiranza, King sosteneva che gli adolescenti adorassero i vampiri almeno venti anni prima che le biblioteche di mezzo mondo iniziassero ad ospitare interi scaffali dedicati ai nipotini del conte Dracula. Ad avviso del Re, questa simpatia ha una motivazione sessuale sulla quale non intendo dilungarmi – per chi fosse interessato, il testo di riferimento è Danse Macabre, Theoria, Roma-Napoli 1992 -; quello che invece vorrei approfondire è il parallelismo che egli instaura tra lo smettere di bere – il liberarsi di un vizio – e l’uccidere una moltitudine di vampiri. Si tratta di una metafora felice perché, come saprete, un vampiro non può entrare in casa di un essere umano, a meno che non sia stato invitato.

Il fatto è che combattere contro qualcosa o qualcuno che ti succhia il sangue potrebbe apparire talmente arduo da toglierti la voglia di iniziare. In quei momenti di scoramento prova a ripensare al colibrì, a Madre Teresa ed a Lao Tse.

L’alternativa è arrendersi.
Non è mai stata una buona soluzione.