Il Re del Nulla – Seconda Parte

La regola della sigaretta, ovviamente, funziona. Non facciamo in tempo a fare due tiri che già il 512 imbocca la via ed avanza verso di noi sbuffando e cigolando sulle sue vecchie sospensioni. Lento e inesorabile, come il destino. Riccioli d’oro si libera della  sigaretta velocemente, lanciandola in diagonale, con il polso morbido, come se dovesse scrollare via l’acqua dalle dita. Io, invece, allargo platealmente il braccio, sospiro, e poi la lascio cadere per terra in verticale, come un bomba. Poi infierisco con la suola delle scarpe. Se ci pensate, vi renderete conto che maschi e femmine fanno un sacco di cose in maniera tremendamente diversa, altro che no. Riusciamo ad entrare nel carro bestiame. Ci ritroviamo promiscuamente schiacciati contro il corpo di altri fortunatissimi utenti del trasporto pubblico romano. Siamo al limite della decenza. Ad esempio potrei fare la radiografia di tre o quattro persone attorno a me: il pisquano che si trova qui davanti deve aver fatto una colazione abbondante e ora ha i reni gonfi come un canotto. Invece, dietro di me c’è qualcuno che spinge come se stessimo per entrare allo stadio, o a un concerto rock. Peraltro, è molto felice di essere qui oggi. Immagino che uno di questi giorni mi ritroverò diecimila lire infilate nei boxer. Come mancia.

Insomma non posso muovere mezzo muscolo. L’unica cosa che riesco a fare è scambiare qualche sguardo di intesa con Riccioli d’oro che emerge e scompare da dietro uno zaino pieno di  FUAN e di slogan fascisti. Mi consolo leggendo perle di antica saggezza metropolitana, messaggi in una bottiglia che qualcuno ha voluto lasciare qui per me, tatuaggi incisi con l’uniposca sulla pelle di questo antico mostro. In sfregio all’autorità costituita. Iniziamo con un grande classico: “Se la Lazio è magica, cicciolina è vergine”, proseguiamo con un immaginifico “Ti ho servito il mio cuore bollito su fettine di culo, ma tu c’hai trovato un pelo sopra”, per arrivare ad un ben più allarmante e criptico “L’ingegnere del quinto piano è pazzo come la morte”. Tra tutte queste simpatiche facezie spicca la mia preferita: “Mr. Dado sei il più figo di tutti” condita da una miriade di cuoricini e punti esclamativi. Opera mia, ovviamente. Ne vado parecchio fiero altro che no. La riconosco dal modo in cui sono fatti i punti esclamativi. Ad esempio c’ho messo una settimana a imparare la calligrafia delle sbarbine e ora le mie scritte con l’uniposca rosa sembrano opera di una quattordicenne con gli ormoni impazziti. Dissemino questi messaggi sugli autobus e nei bagni – scuola, mac donald’s, discoteche…  Date retta a me, niente funziona più della pubblicità positiva.

Scendendo dal mezzo, saluto con lo sguardo Riccioli d’oro, che mi ricambia con un sorriso e prosegue la “corsa” verso il suo liceo. Dopo quindici minuti di camminata raggiungo il portone della scuola dove incontro il Pelo, il Chris, l’Orco e il Fly.

Io:”Bella ragazzi”
Todos: “Bella Mr.”.
Fly: “Pare che ci sia la supplente di Inglese”.
Io: “Ma dai! Mitico! Je famo la lente? Tocca a Pelo.”
Pelo: “Veramente toccherebbe al Mr., io l’ho fatta l’anno scorso al supplente di matematica, mortacci vostra, e mi sono pure beccato la materia a settembre”.
Chris:”A parte che la materia te la sei beccata perché sei una caaapraaaaa, secondo me ha ragione il Mr., sta a te fare la lente”.

La lente è uno scherzo che ho inventato io assieme al Chris, nelle lunghe giornate estive fatte di noia e biliardo. Funziona in questo modo: andiamo in un bar, in un supermercato o  in un altro luogo pubblico affollato, assieme a tre o quattro amici. A un certo punto, uno di noi molla una pacca sulla spalla del protagonista che urla disperato: “Noooo! M’hai fatto cascà la lente, mio padre m’ammazza!”. Iniziamo quindi a cercare la lente. Dopo una decina di minuti, almeno venti persone si ritroveranno con la schiena china e lo sguardo per terra, nella spasmodica ricerca di una lente che non esiste. Se non vi fa ridere non dovete preoccuparvi. Non è esattamente uno scherzo. Facciamo queste cose per vedere come reagiscono gli estranei. Non riuscite ad apprezzarne il fascino? Non c’è problema. Anche i dadaisti, all’inizio, non furono capiti. Ad ogni modo, a scuola lo facciamo quando c’è un supplente. Se va bene, riusciamo a perdere anche mezz’ora di lezione.

Nel bel mezzo della discussione interviene autorevole il Fly: “La lente la deve fare Bara perché ha saltato le ultime due adunate a casa mia senza un valido motivo e merita di essere punito”. Bara accetta senza battere un ciglio. Tuttavia sostiene che questo incarico lo esonera dal condividere col gruppo la prossima versione di latino. Nasce dunque una accesa discussione sui termini del nostro Sacro Regolamento quando si palesa dal nulla il buon vecchio Acido.

Acido è un ragazzo del III D famoso in tutta la scuola per due motivi. Il primo è che è stato bocciato per tre anni di fila in terzo. Il secondo è che è sempre completamente fumato, bevuto o comunque sia fatto di qualcosa di cui non riesce a ricordare o pronunciare il nome. In mano, ha una lattina con una fessura in stile salvadanaio. Cappellino di lana viola, camicia extralarge da taglialegna di Seattle, scarpe da basket, jeans scoloriti che probabilmente non hanno mai visto tempi peggiori. Bianco come un cencio, magrissimo, ha la faccia piena di brufoli.

Acido: “Bella raga, sto facendo la colletta per smettere di farmi. Non è che voi potete darmi una mano?”
Orco: “Come scusa?”
Acido: “Che sei deficiente? T’ho detto che voglio farla finita con la droga… cioè te sto a dì se voi potete chenneso aiutarmi… magari v’avanzano cinquecento lire.”
Orco: “E che ci devi fare?”
Acido: “Una cosa che mi ha insegnato mio cugino, dice tu prendi una lattina e ci metti dentro i soldi tutto l’anno, alla fine dell’anno apri la lattina…”
Chris: “E c’hai finalmente i soldi per andare in clinica a disintossicarti.”
Acido: “Naaaaa, se tutto va bene c’ho abbastanza soldi per comprarmi una dose spaziale. Metto su un pezzo dei Nirvana e B O O M, vi mando tutti a cagare”.

Restiamo per un lungo momento a guardarlo come si guarda un’equazione di secondo grado.

“Svegliaaaaaaa, è una battuta! Ahahah. Mio cugino dice che questo è l’unico modo per smettere”.

A quel punto, suona la campana.

Autore: Guido Saraceni

Professore di Filosofia del Diritto e di Informatica Giuridica, Facoltà di Giurisprudenza, Università degli Studi di Teramo - In viaggio.

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