Dagli Stati Sovrani ai Social Network.
Una Inesorabile Rivoluzione Silenziosa
Dagli Stati Sovrani ai Social Network.
Ikea dista meno di due chilometri da casa mia, posso andare e tornare a piedi. Di fatti capita che vada anche solo per fare una passeggiata e stare al fresco. Ogni tanto mi lascio tentare dalle offerte del settore ristorazione, del tipo: primo, dessert e bibita a 1 euro e 98 centesimi, oppure: cappuccino e torta al cioccolato a 95 centesimi. Lo so, è una follia: il masochismo alimentare resta una delle cento psicosi con le quali continuo a combattere da anni. Il mio analista dice che lo faccio perché amo il pericolo – e di solito aggiunge che sarebbe più salutare fare un corso di sopravvivenza in Nepal. Mia madre, sicuramente in maniera più incisiva, mi chiede se proprio non potevo drogarmi come tutti gli altri. Ad ogni modo, queste sono considerazioni di persone pavide. Non vado di certo da Ikea per mangiare. Io vado da Ikea per guardare i prodotti e la gente – come ha detto qualcuno “il più grande spettacolo al mondo”. Mi piace osservare i clienti: giovani coppie che stanno arredando la prima casa e litigano a morte per il colore del divano, mariti rassegnati e tristi che ciondolano dietro alle mogli come bambini che aspettano la fine della messa per andare a giocare a pallone, famigliole già formate, famigliole in corso di formazione… si respira anche tanta energia positiva: bambini e pupi urlanti, persone sudate che spingono, file chilometriche alle casse… Oggi sono andato a fare la solita passeggiata, quando, di fronte alla libreria BrExit una voce dietro di me ha detto:
D. – “Bella Professò!”
G. – “Come, scusi?”
D. – “Sei te vero? Daje che sei te… annamo male… la pizza ar formaggio…”
G. – “La cosa? Ah, si, certo, mi hai beccato. Piacere.”
D. – “Lo sapevo! Florianaaaa Floooriaaaaaana viè un po’ a vede che è come te dicevo io. O vedi? O vedi chi è?”
Floriana arriva di corsa, tutta trafelata nel suo vestito macedonia. Se possibile, è più imbarazzata di me dalle urla selvagge del marito. Si passa una mano nervosa tra i suoi copiosi ricci rossi.
F. “Ma che te urli! Ma che figura me fai fa’?”
D. “Professò, io so’ Daniele e lei è mi moje Floriana”. Daniele propende il braccio destro verso di me. Il sorriso sincero, la manona aperta e tesa a raggiera, come se dovesse parare un rigore. La moglie si limita ad abbassare lo sguardo e sorridere.
D. “Aho mi moglie nun ce voleva crede! Allora Professò?” – pacca sulla spalla – “Sei un grande eh, te seguimo sempre! L’ultima cosa che hai scritto sul referendum c’ha fatto letteralmente sdrajà. Pure al lavoro: se semo ca-ppo-tta-ti! Sentì un po’, ma perché nun se famo quattro chiacchiere io e te, mentre lei sceje e’ ssedie?”
G. “Mah veramente, non saprei… avrei un articolo da correggere…”
D. “Daje Professò, che je fa? Se pijamo na cosa ar bar… oggi ce sta la crostata di more”.
Dopo circa trenta secondi siamo seduti ad un tavolino del bar. Daniele si limita al caffè, io prendo anche tre fette di torta. Come dico sempre: non ho nessuna intenzione di vivere da malato per morire da sano.
D. Allora… dicevamo, sta cosa del referendum… ma te sei proprio sicuro che è meglio in Inghilterra?
G. In che senso?
D. Nel senso che quelli se stanno già a magnà le mano. Oggi c’era scritto sul giornale che stanno a fa’ na petizione per torna’ a vota’.
G. Si, ho letto. Io però non mi riferivo all’esito della votazione. Vedi, non è così ovvio che uscire dall’Unione Europea sia un cattivo affare. Non è ovvio che sia una cosa buona. L’unica cosa certa, in questo momento, è l’incertezza.
D. Come er mercato della magica Roma… qua nun se capisce niente, chi compramo… chi vendemo…
G. Appunto, credo che gli esiti potremo forse valutarli tra qualche tempo. Io mi riferivo alla forma del quesito referendario.
D. Vabbè, ma a parte sta forma, nun te sembra strano che quelli facciano votà i cittadini su una cosa così seria e complicata? Io, in questi giorni, ho sentito Floris, Servegingi, Saviano, insomma tutta gente de un certo calibro… dicheno che c’è un problema de populismo. Nun sarà che c’hanno ragione?
G. Non saprei, perché dovrebbero avere ragione?
D. Ma perché la gente sono ignoranti! Guarda al limite me ce metto pure io. Ma che ne sappiamo noilagente se è meglio stare dentro o fuori l’Unione Europea. So’ questioni di bilancio, de politica internazionale, insomma, cose grosse professò! So’ cose complicateeee….
G. Invece il divorzio era una cosa semplice? L’aborto era una cosa semplice? La sperimentazione sugli embrioni e la fecondazione assistita?
D. Vabbè che c’entra… quella è morale, è più facile: ciascuno decide come je pare basta che nun dà fastidio a l’altri…
G. Quella non è morale. Quello è il libero mercato.
D. In che senso er mercato?
G. Niente, non ti preoccupare. Volevo dire che la riflessone (bio)etica può essere anche più complicata e spinosa di quella economica, ci sono intere biblioteche da studiare… Comunque, mettiamo da parte l’etica: e le trivellazioni? L’acqua pubblica? Come mai su quelle cose si può votare?
D. E infatti ti dico che secondo molti di questi insigni studiosi non si dovrebbe votare neanche in quei casi. Mi dispiace professò, però secondo me c’hanno ragione: la gente sono tutte capre.
G. Però la gente possono votare alle elezioni politiche…
D. Eccerto, tojice pure quelle…
G. Quindi è normale che la gente decida quali forze politiche avranno in mano il Governo del Paese, è normale che scelga il Sindaco, mentre non può decidere se è meglio stare dentro o fuori l’Unione Europea?
D. Nullo so più professò, me stai a fa’ venì un mar de testa… Aspetta aspetta… – si gira e rigira di scatto – sbrigate che sta a tornà Floriana… so’ sicuro che come arrivamo a casa me interroga. Damme na mano…. insomma te come la vedi tutta sta storia…se dovessi dillo facile come quando scrivi su feisbuk?
G. La democrazia è na bella cosa. Ma solo si votamo come dicheno loro.
Fare jogging da soli è bello: mentre ti alleni puoi concentrarti sui battiti del cuore, ascoltare la tua musica preferita, liberare la mente da ogni preoccupazione. Ma non c’è niente di meglio che andare a correre con un amico. Correre con un amico è più che bello, è terapeutico: si stabilisce un ritmo comune, ci si incoraggia vicendevolmente e si possono anche scambiare quattro chiacchiere. Per esempio, ieri pomeriggio sono andato a correre con Ermete. Non so per quale motivo, ma ad un certo punto abbiamo iniziato a parlare di psicanalisi.
G.-Freud sostiene che la nostra illusione di essere importanti è stata per la prima volta ridimensionata quando Copernico ci ha insegnato che non siamo al centro dell’universo e sarà definitivamente sconfitta dai suoi studi sull’inconscio. Perché grazie alla scoperta dell’inconscio l’io capisce di non essere padrone in casa sua.
E. -Aspetta un attimo, questo non è Freud… è Salvini!
G.- …
E.- Maledetti immigrati, l’ho sempre detto che ci rubano il lavoro!
G.- Te lo immagini Freud con la felpa VIE NNA?
E. – Meglio di no… fermati un attimo!
G. -Che c’è?
E. – Ho bisogno di prendere fiato… e di una sigaretta…
G. – Mentre corriamo?! Possibile che non riesci a smettere? Freud sostiene che il piacere orale è mancanza di essere.
E. – Sarà… nel mio caso si tratta di mancanza di nicotina.
G. – Devi essere regredito – o più facilmente bloccato – alla prima fase dello sviluppo psichico, quella in cui il bambino prova piacere nel suggere latte dal seno della madre.
E. -Se vuoi dire che sono nato con la sigaretta in mano ti sbagli di grosso… io ho iniziato con i sigari.
G. – Passare dai sigari alle sigarette è come passare dai romanzi di Joyce ai fumetti di Zero Calcare.
E. – Di fatti, Joyce è superato… Comunque sia… ti informo che io sono riuscito a smettere di fumare, di bere e di correre dietro alle donne…
G. – Davvero?
E. – Certo. Sono stati i quindici minuti più brutti della mia vita. Sediamoci qui, dai… solo il tempo di una siga…
G. – …insomma la differenza tra Freud e Jung sarebbe che Freud si è dedicato allo studio della psiche umana malata, mentre Jung intendeva studiare la vita psichica nella sua interezza. Inoltre, Freud era interessato al passato dei suoi pazienti, aveva una concezione statica della psiche, mentre Jung preferiva pensare che la salute psichica fosse qualcosa di dinamico, di evolutivo… mi segui?
E. – Certo, ma solo perché ci siamo seduti… è incredibile come vanno in giro, vero?
G. Io ti parlo di Freud e tu guardi le ragazze?!
E.- Scusami, ma quella porta una minigonna così corta che non può permettersi di sorridere.
G. Pessimo… Ti comunico ufficialmente che questa è l’ultima volta che andiamo a correre insieme.
E. – Frena amico! Tu mi hai chiesto se volevo venire a correre! Se mi avessi chiesto se mi interessava discutere di Freud ti avrei detto quello che rispondo alla mia fidanzata quando inizia a parlare di matrimonio.
G.-?
E.- “Se vuoi farlo davvero, fallo. Ma non contare sulla mia presenza”.
G. -…
E.- Guarda, non è lei, è la sua famiglia che non riesco proprio a tollerare. In particolare, sua madre e il suo cane. Sono certo che si siano alleati contro di me.
G.-Secondo Freud la paranoia dipende dal delirio di onnipotenza. Il soggetto, fermo o peggio ancora regredito ad una certa fase dello sviluppo, si illude di poter controllare tutto e dà la colpa agli altri quando le cose non vanno come aveva inizialmente previsto.
E.- Te la dico io la verità, questo Freud faceva parte del club Bilderberg… assieme alla massoneria illuminata… sarà stato lui a lanciare il piano “scie chimiche”… non fare quella faccia!
G. Non fare quella faccia? In un’ora al parco abbiamo totalizzato dodici minuti di corsa e tre sigarette!
E.- Dovresti essere orgoglioso di me: la volta scorsa ne ho fumate cinque.
G. Andiamo a casa, dai… Ti ho mai detto quanti psicologi ci vogliono per cambiare una lampadina?
E. -Sicuramente, ma adesso non mi ricordo…
G.- Uno solo. Ma costerà un sacco di soldi, ci vorrà un sacco di tempo e soprattutto la lampadina deve voler essere cambiata.
Era una splendida giornata di maggio ed io mi trovavo a scuola. Mi pare di ricordare che a quei tempi frequentassi la quarta o la quinta elementare. La maestra ci aveva dato come compito a casa quello di disegnare su un foglio un simbolo, l’ideale per cui avremmo voluto impegnarci e lottare da grandi. Io avevo disegnato il profilo di una donna. Non fraintendetemi, la mia idea era che tutti avrebbero dovuto lottare per i diritti delle donne, troppo spesso sottovalutate e discriminate per il semplice fatto di non essere nate maschi. Mia madre si dichiarava apertamente femminista e io ero convito che avesse ragione. Inoltre, pensavo che avrei fatto un figurone davanti a tutta la classe – soprattutto con Gaia, la bambina del primo banco di cui ero segretamente innamorato sin dal primo giorno di scuola.
Al momento di correggere i compiti, la maestra chiamò alla cattedra il pingue Scottani che, con il suo solito fare saccente, mostrò a tutti un bel disegno – aggiungendo banali ma condivisibili considerazioni sui diritti delle donne. Per fortuna io avevo preparato un piano b. Temevo che qualcuno potesse aver avuto la mia stessa idea, per questo motivo, su un altro foglio, avevo disegnato un bambino di colore. La maestra chiamò però alla cattedra Giulietti, che, dopo aver balbettato tre o quattro parole incomprensibili, smise di contorcersi le mani e mostrò a tutti il suo disegno, provando a spiegare che siamo tutti uguali davanti agli occhi di Dio e che “il colore, in fondo, è solo luce”.
Seguirono nell’ordine: Valeri – che aveva disegnato un povero -, Stellacci – che aveva disegnato un disabile – e Carpignneti -che aveva disegnato quello che, a suo dire, era un disoccupato.
Avevo lo stomaco in fiamme. Sentivo il latte della prima colazione che mi stava risalendo prepotente e acido nella gola. Se chiamerà me, pensavo, farò scena muta e la figura del cretino davanti a tutta la classe. I miei compagni avevano già detto tutto quello che c’era da dire e per me sarebbe stato molto più dignitoso restare in silenzio, piuttosto che fare la figura del copione.
La Maestra puntò quindi il suo indice assassino sul registro di classe e disse: “come ultimo disegno vediamo… vediamo… ve-dia-mo…” – cambiando tono di voce ad ogni vediamo, come se stesse cantando una canzoncina. Incrociai le dita e provai ad accartocciarmi sul banco per scomparire dietro i ricci irsuti di Stancucci. “Non può chiamare me”, mi ripetevo, “dopo quattro maschi sentirà sicuramente una femmina. È il suo stile”.
-“Vediamo… Splendori! Simona, che disegno hai fatto?”
Il mondo è un posto meraviglioso – pensai.
– “Nessuno signora Maestra, ieri ero al catechismo per la prima comunione. Ho la giustificazione”.
Lo sapevo che c’era una fregatura – pensai.
-“Vaaaa beeeene. E Saraceni invece? Vieni Guido, vieni.”
Mai una gioia – pensai.
Mi alzai riluttante dal mio banco. Strusciai i piedi per terra sperando di guadagnare secondi preziosi, sperando con tutto me stesso che la magia provvidenzale della campanella arrivasse a salvarmi esattamente come un super eroe raccoglie al volo un uomo che sta cadendo dal quinto piano. La distanza che mi separava dalla cattedra era diventata un mare di gomma. Un passo alla volta. Inspira. Espira. Inspira… Poco prima di arrivare alla cattedra incrociai gli occhi di Gaia che mi guardava con fare interrogativo. Venni così folgorato dall’ispirazione. Scarabocchiai qualcosa sul foglio e lo mostrai raggiante alla classe.
-“Che be disegno, Guido! Cosa è?”
-“Una nutria, Signora Maestra!”
-“Cosa?”
-“Una nutria. Da grande voglio combattere per i diritti delle nutrie!”
Confesso che a quei tempi non avevo ben chiaro cosa fosse una nutria. Avevo sentito quella parola qualche giorno prima, quando i miei genitori mi avevano portato a Sabaudia, in gita al lago, e me ne ero immediatamente innamorato. Mi era rimasta attaccata alla mente come chewing gum sotto la suola di una scarpa da ginnastica. Nuuuutria, nutrìa, nu-tria, mi piaceva il suono e non perdevo occasione per ripeterla. A parte questo non sapevo altro, ma immaginavo che dovesse trattarsi di una qualche bestia.
-“Ma come Guido, i tuoi compagni si preoccupano delle donne, delle persone di colore, dei disabli… E tu vuoi combattere per i diritti delle nutrie?”
-“Certo, io voglio combattere perché siano pienamente rispettati i diritti di tutti: donne, persone di colore, anziani, poveri, disabili… disoccupati… e animali!”.
Boato della classe.
Seguirono venticinque minuti di applausi.
Senza alcuna soluzione di continuità.
La povera maestra si mise una mano sulla fronte e nei suoi occhi, per la prima volta in vita mia, lessi chiaramente un pensiero, un cruccio, che mi sarebbe tornato in mente qualche anno dopo – “Andiamo male. Molto. Molto male”.
A quei tempi non potevo sapere che l’affermazione “voglio combattere perché siano pienamente rispettati i diritti di tutti” non avesse alcun senso. Non aveva senso dal punto di vista teorico: perché i diritti sono tanti ed hanno la cattiva abitudine di entrare in conflitto tra loro. Siamo quindi costretti a ponderare, a mediare, e quando proprio non possiamo fare altrimenti, a sacrificarne alcuni per garantire la piena realizzazione di altri. Ad esempio: siamo costretti ad uccidere un gorilla per garantire il diritto alla vita di un bambino.
Ma non aveva soprattutto senso dal punto di vista pratico: perché il tempo e le energie a nostra disposizione sono limitate. Dobbiamo scegliere con attenzione le nostre battaglie, altrimenti, avendo la presunzione di (pre)occuparci di tutto e di tutti, rischiamo di non riuscire ad occuparci di niente.
Siamo quindi costretti ad elaborare una scala di priorità. Per questo motivo, spero che mi perdonerete se oggi ritengo che i diritti delle nutrie vengano molto dopo tutte le categorie citate. Vi svelo un segreto: questo non è un mondo perfetto. Ci sono tante ingiustizie e tante sofferenze di cui occuparsi. Partendo, senza ombra di dubbio, da quelle che affettano i nostri simili.
Poi, se avremo tempo e modo, ci occuperemo anche delle nutrie.
Sperando che esse abbiano pietà di noi.
Sabato mattina, ore 8.25, sono a Roma, nel mio quartiere. Entro nel solito bar per prendere il solito cappuccino e fare la solita passeggiata – sono un tipo abitudinario. Mentre faccio colazione senza dare fastidio a una mosca, capto una pericolosissima “frase di apertura” che proviene dal tavolino accanto al mio. La frase di apertura è una frase buttata lì a caso da qualcuno con noncuranza, come se fosse una cosa ovvia, scontata (in periodo di saldi) e soprattutto, universalmente condivisibile… gli avventori poco esperti ne trascurano le conseguenze, ma chi ha una certa esperienza di bar fiuta immediatamente il pericolo.
La frase è: “che poi Renzi non è mai stato votato…”.
A pronunciarla è stato un giovanotto sulla ventina, impegnato a fare colazione con una biondina che avrà più o meno la sua età. Noto questi dettagli con la coda dell’occhio, mentre il mio sesto senso inizia a vibrare.
Incrocio lo sguardo allarmato del gestore: lui sa che io so. A questo punto, abbiamo tre possibilità 1) alzare al massimo il volume della radio 2) distogliere l’attenzione dei presenti pronunciando ad alta voce una domanda che non ha niente a che fare con il tema della frase di apertura – del tipo: “sarà vero che nelle arance c’è la vitamina c?” 3) infilare di corsa l’uscita gridando: “a fuoco! A fuoco!”.
Purtroppo, è già troppo tardi.
-Mi scusi se mi intrometto, giovanotto, ma nessun Presidente del Consiglio è mai stato votato.
Nel locale cala improvvisamente il gelo.
A parlare è stato Giovanni Margottini, detto il Ragionere. Uno dei più assidui, antichi e stimati avventori del bar. Margottini è un pensionato che passa buona parte delle sue giornate leggendo il suo giornale al suo tavolino nel suo bar. Ex sessantottino, ex dipendente statale, ex comunista, ex pds, ora fervente sostenitore del Governo Renzi. Si vocifera che nel portafoglio, accanto alla foto dei nipotini, conservi gelosamente un santino della Boschi che illumina a giorno questa valle di lacrime sgranando i preziosissimi occhioni azzurri.
– Come scusi?
Il ragazzetto è rimasto a bocca aperta. Evidentemente non è del quartiere. Deve essere “uno di fuori” che ha pensato bene di passare il sabato mattina con la fidanzatina all’Ikea.
– Ma sì, giovanotto, non ho potuto fare a meno di ascoltare… come diceva quello: mi consenta – il ragioniere abbassa il giornale e lo guarda in tralice, da sotto gli occhiali. Veda, siamo in Italia. Il nostro sistema elettorale non prevede che il Presidente del Consiglio venga eletto – sorride sornione, ammiccando alla biondina, che lo guarda perplessa.
Il ragazzo si innervosisce: “A perché vuole dire che noi non avevamo votato a Berlusconi?”
Lentamente, mi alzo, sguardo basso, nella tasca tengo stretti i soldi. Alla cassa c’è la madre del gestore. La saluto con un sorrisetto di intesa. Sono certo che lei capirà e non mi tirerà dentro questa discussione.
“Proffe! Te che dichi? Chi c’ha ragione?”
Ecco.
Vediamo se riesco a cavarmela in maniera diplomatica.
“Buongiorno Ragioniere” – sorrido.“Ciao Prof.” – mi saluta con un cenno del capo, ma, a giudicare dall’espressione, non deve essere per niente contento che sia stato chiamato in causa.
Il ragazzetto ha incrociato le braccia sul petto, assumendo un comprensibile atteggiamento di chiusura e di sfida. La biondina lo cinge con un braccio alla vita, forse per trasmettergli sicurezza, come a dire: “stai calmo”.
-Cosa volete che vi dica? Avete ragione entrambi.
-Ah! Mi meraviglio di te, che insegni pure diritto…
-Scusi, ma come facciamo ad avere ragione entrambi?
-Che ce stava nel cappuccino prof? In base a ciò che dice la nostra Carta Costituzionale il popolo vota i suoi rappresentati in Parlamento… mica vota il Presidente del Consiglio.
-Grazie Margottini, credo di sapere come funziona.
– E allora!? De che stamo a parlà?
-Il discorso è un pochino più complesso. Quando diciamo che Renzi non è stato votato intendiamo esprimere una critica politica, non un giudizio giuridico.
-In che senso?
-Nel senso che quando abbiamo votato non avevamo idea del fatto che ci saremmo ritrovati con un Governo Renzi. La scorsa campagna elettorale l’ha fatta Bersani, davanti alle televisioni, sui giornali, il leader era chiaramente Bersani, gli italiani che hanno votato Pd l’hanno fatto sperando in un Governo Bersani. Alle Primarie gli elettori del Pd votarono Bersani. Ma dopo aver votato “la faccia, le idee e le parole di Bersani”, ci siamo ritrovati con un Governo Letta che è stato sostituito – a seguito di una stranissima crisi lampo – da un Governo Renzi. Mi segui Margottini? Siamo di fronte ad un difetto di legittimazione politica.
– E io che ho detto?! – interviene raggiante il ragazzetto – Nessuno ha votato Renzi, questo è un Governo illegittimo frutto di un colpo di Stato sionista!
– Frena, non c’è stato nessun colpo di Stato, nessun difetto di legittimità formale – e ci mancherebbe altro.
– E le europee allora? – interviene nuovamente il ragioniere – nun te scordà che Renzi ha stravinto le europee.
Scusa Margottini ma le Europee non c’entrano proprio nulla con le elezioni politiche. 1) cambia l’elettorato – parliamo di sette/otto milioni di voti di differenza 2) non si presentano le stesse alleanze e/o gli stessi partiti 3) alle europee Renzi ci è arrivato dopo essere già stato nominato Presidente del Consiglio – un vantaggio da niente…
Il ragioniere mi guarda perplesso, muove la bocca come per dire qualcosa, ma non dice nulla, si limita a fare una smorfia, poi, chiaramente contrariato, torna a nascondersi dietro il suo giornale. La biondina sussurra qualcosa all’orecchio del fidanzato che dice: “vabbè va, famme sta zitto va… ce vorrebbe Lui ce vorrebbe… quanto devo?”
Finale: mi odiano entrambi.
Posso essere certo di aver detto la verità.