Avere vent’anni

Mi sono laureato in Giurisprudenza il 7 luglio del 2000, esattamente venti anni fa, quando non esistevano i social network, sognavamo il nokia3310 e ci facevamo reciprocamente i mutini per dire “hey, sto pensando a te”.

A quei tempi non esistevano i CFU né le lauree triennali, ma per aiutarti ad entrare prima nel mondo del lavoro lo Stato Italiano si prendeva dai dieci mesi a un anno di vita – vuoi come militare, vuoi come obiettore.

L’anno in cui mi sono laureato mi sono rotto il legamento crociato, ho avuto la varicella e sono stato investito da un taxi. Poca roba, paragonata al fatto che la Lazio vinse lo scudetto – fine del film horror.

Il 2000, per me, fu un anticipo di 2020.

La laurea fu comunque una grande liberazione, non vedevo l’ora di abbandonare quelle aule vecchie, quei corridoi sporchi, quei mastodontici e polverosi libri… Tutto quello che volevo fare, a quei tempi, era continuare a suonare nei locali con il mio quartetto jazz – e insegnare musica.

Alla vita non chiedevo davvero altro.

Oggi, se mi guardo indietro, mi domando come abbia fatto ad arrivare sin qui.

Mentre festeggio questa ricorrenza con cappuccino e cornetto ipercalorico alla nutella ripieno di nutella e nutella, vorrei dire una cosa, dal profondo del cuore, a tutti i ragazzi che si stanno laureando in questi giorni: qualsiasi cosa vi dicano i “grandi”, qualsiasi infinita predica, invereconda stupidaggine o squallido trucco usino per farvi cambiare strada, voi non ascoltare nessuno, inseguite i vostri sogni, difendeteli senza pietà, fate sempre e soltanto ciò che amate.

Datemi retta, non c’è ricchezza o posto di lavoro o pensione, in questo misero mondo, che valga un terzo dei desideri che portate nel cuore.

Forza e coraggio, ragazzi, il futuro vi appartiene.

Roma 7.7.2020

A renderci capaci di tutto non è la forza di cui disponiamo, ma l’intensità del nostro desiderio.

Il valore di un uomo

Quando avevo quattordici anni fui rimandato in matematica. Con cinque. Unico rimandato a settembre in matematica di tutta la classe. Iniziai a pensare di lasciare il liceo per mettermi a fare l’apprendista benzinaio, mi ammalai seriamente di insonnia, smisi di mangiare e persi rapidamente cinque chili – il che, considerato il mio peso dell’epoca, significava che stavo letteralmente scomparendo.

Insomma, la presi bene.

Studiai comunque tutta l’estate. I miei genitori avevano pianificato di passare un periodo al mare, siccome il docente che mi dava ripetizioni sosteneva che non avremmo dovuto interrompere i nostri incontri, per tre volte a settimana prendevo il treno, tornavo a Roma, prendevo il bus, prendevo la metro, andavo a ripetizioni, riprendevo il bus, riprendevo la metro, riprendevo il treno e raggiungevo, la notte, la mia famiglia al mare.

Al compito di settembre presi sette. Ma la professoressa si rifiutò di ammettermi al secondo anno con quel voto. La giustificazione fu: altrimenti i ragazzi che sono stati promossi a giugno con sei si offendono.

Non sto scherzando.

Decisi così che la matematica mi odiava ingiustamente e quindi io avrei odiato altrettanto ingiustamente lei, smettendo di studiarla. Non ha senso, lo so, ma gli adolescenti sono capaci di fare ragionamenti parecchio strani.

La verità è che ho sofferto tanto per l’umiliazione di quel cinque che non divenne mai sette. Tutto questo mi è tornato in mente quando ho saputo dello studente di Napoli che ieri, dovendo recuperare tre materie, si è lanciato dal quarto piano.

Professori, compagni, parenti… nessuno è riuscito ad afferrarlo prima che si lanciasse nel vuoto, nessuno era sotto quella finestra per evitare che si facesse male… Stiamogli quindi accanto ora. Mi rivolgo soprattutto ai suoi compagni: non lasciatelo solo. Fategli capire che gli volete bene, che lo stimate ancora, che non lo giudicate per ciò che ha fatto, perché nella vita tutti possono commettere un errore.

Lo studio non è una gara, non è una competizione, non è una guerra. Può capitare di essere rimandati o bocciati. Ciascuno ha il suo percorso, i suoi risultati e i suoi tempi. Soprattutto, una persona vale molto di più dei voti che prende a scuola, del ruolo che ricopre nella società e dello stipendio che percepisce.

Il valore di un uomo si misura esclusivamente in base alla grandezza del suo cuore.

Roma 23.6.2020

Repetita Iuvant

Il Signor Mille Occhi

La macchina è un’arma”, mi ripeteva spesso mia madre quando ero bambino, “bisogna avere mille occhi”. Lo diceva sempre. Lo ripeteva ogni santa volta che veniva a prendermi a scuola; quando andavamo a trovare i nonni; quando la accompagnavo per interminabili viaggi a bordo della nella nostra mitica 500 – in una città malata di traffico come Roma. “La macchina è un’arma, bisogna avere mille occhi”.

Sono cresciuto con qualche piccolissima nevrosi, lo ammetto, ma in vita mia ho sempre tenuto il piede leggero sull’acceleratore.

Queste riflessioni mi sono venute in mente ieri, quando ho saputo della morte di Mattia, strappato all’affetto dei suoi cari lunedì sera, a Roma, mentre attraversava la strada sulle strisce pedonali. Aveva 14 anni. Era uscito per festeggiare con i suoi compagni la fine della scuola. Stavano attraversando quando è sopraggiunta una Peugeot 108, guidata da un ragazzo di ventidue anni.

Alta velocità, scarsa concentrazione, illuminazione stradale insufficiente…

Sull’asfalto è rimasto, esanime, il povero Mattia, assieme a tutti i suoi sogni e alle sue speranze.

Con questo post vorrei manifestare solidarietà e cordoglio a tutte le persone coinvolte in questa tragedia, alla famiglia, ai compagni di scuola e agli amici di Mattia. In particolare vorrei riservare una carezza alla madre che nell’immediatezza dell’incidente, dopo aver baciato il figlio, dopo avergli rimesso l’apparecchio per i denti, domandava sconvolta ai cronisti “e io adesso come faccio senza di lui?”.

Non ci sono davvero parole.

Insegnate ai vostri figli che la macchina è un’arma, educateli alla sacra e noiosa lentezza, alla più saggia prudenza, perché incidenti come questo accadono tutti i giorni e possono segnare, in
maniera profonda e per sempre
, la vita di molti.

Roma 10.6.2020

Ciao Mattia, che la terra ti sia lieve.

La Ministra e Plutarco

Maggio 2018 – Un mio caro amico e collega mi coinvolge nella sua campagna elettorale come Rettore, mentre cerco uno slogan accattivante, scovo una bellissima frase di Plutarco: “gli studenti non sono vasi da riempire, ma fuochi da accendere”.

Maggio 2019 – Alla citazione di Plutarco faccio riferimento nel titolo del mio primo romanzo: “fuoco è tutto ciò che siamo”.

2018/20- Almeno altri due candidati a Rettore, in Italia, usano lo stesso slogan.

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Maggio 2020 – La ministra Azzolina dichiara alla stampa che “gli studenti non sono imbuti da riempire”.

“Imbuti”.

Roma 19.5.2020

Mala Tempora Currunt

Debiti Formativi

Quando avevo quattordici anni fui rimandato in matematica. Con cinque. Unico rimandato a settembre in matematica di tutta la classe. Iniziai a pensare di lasciare il liceo per mettermi a fare l’apprendista benzinaio, mi ammalai seriamente di insonnia, smisi di mangiare e persi rapidamente cinque chili – il che, considerato il mio peso dell’epoca, significava che stavo letteralmente scomparendo. Insomma, la presi bene.

Studiai comunque tutta l’estate. I miei genitori avevano pianificato di passare un periodo al mare, siccome il docente che mi dava ripetizioni sosteneva che non avremmo dovuto interrompere i nostri incontri, per tre volte a settimana prendevo il treno, tornavo a Roma, prendevo il bus, prendevo la metro, andavo a ripetizioni, riprendevo il bus, riprendevo la metro, riprendevo il treno e raggiungevo, la notte, la mia famiglia al mare.

Al compito di settembre presi sette. Ma la professoressa si rifiutò di ammettermi al secondo anno con quel voto. La giustificazione fu: altrimenti i ragazzi che sono stati promossi a giugno con sei si offendono. Non sto scherzando.

Decisi così che la matematica mi odiava ingiustamente e quindi io avrei odiato altrettanto ingiustamente lei, smettendo di studiarla. Non ha senso, lo so, ma gli adolescenti sono capaci di fare ragionamenti parecchio strani. La verità è che ho sofferto tanto per l’umiliazione di quel cinque che non divenne mai sette.

Tutto questo mi è tornato in mente quando ho saputo dello studente di Napoli che ieri, dovendo recuperare tre materie, si è lanciato dal quarto piano.

Professori, compagni, parenti… nessuno è riuscito ad afferrarlo prima che si lanciasse nel vuoto, nessuno era sotto quella finestra per evitare che si facesse male… Stiamogli quindi accanto ora. Mi rivolgo soprattutto ai suoi compagni: non lasciatelo solo. Fategli capire che gli volete bene, che lo stimate ancora, che non lo giudicate per ciò che ha fatto, perché nella vita tutti possono commettere un errore.

Lo studio non è una gara, non è una competizione, non è una guerra. Può capitare di essere rimandati o bocciati. Ciascuno ha il suo percorso, i suoi risultati e i suoi tempi. Soprattutto, una persona vale molto di più dei voti che prende a scuola, del ruolo che ricopre nella società e dello stipendio che percepisce.

Il valore di un uomo si misura esclusivamente in base alla grandezza del suo cuore.

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