La Rivolta dei Piccoli Hater

0) Premessa
Qualche giorno fa ho scritto un post contro una nuova bufala sulla privacy che stava iniziando a circolare su Facebook. L’ho fatto perché molti utenti mi hanno sollecitato, ed anche, perché da docente di informatica giuridica credevo di poter contribuire in tal modo alla diffusione della verità – che, diciamocelo pure, è sempre una bella cosa. Tenete presente che circa un anno fa, quando mi sono occupato per la prima volta di questo tema, moltissime persone si domandavano se quel post fosse o meno efficace per tutelare la propria privacy. Al punto che La Repubblica scrisse alla Direzione di Facebook per avere notizie certe e successivamente pubblicò una smentita ufficiale. Tutto ciò premesso e considerato, alcuni utenti hanno sentito il bisogno di venire sul mio profilo a giustificarsi. Nella migliore delle ipotesi, si sono limitati commentare con frasi del tipo: “io non ho mai fatto una foto con il telefono che mi ha regalato l’amante!”; oppure, con l’altrettanto geniale: “io ho letto tutti i libri che cito!”. Nella peggiore hanno creduto di essere in diritto di insultarmi personalmente. Per questo motivo, ho pensato che fosse giusto dedicare il mio consueto articolo domenicale ai miei piccoli hater.

Nella convinzione che una sola risposta non sarebbe bastata, ne ho elaborate sette.

1) Religiosa I (Ecumenica)
La prima metà del post – la parte che vi ha fatto molto indignare – era volutamente eccessiva, iperbolica e sardonica, ma soprattutto, era strumentale: serviva per arrivare alla conclusione. Vi confesso che a me tutto questo sembrava evidente  – almeno quanto il fatto che il post sulla privacy fosse una colossale bufala. Quindi, considerato che oggi è il giorno del Signore, vi propongo di deporre definitivamente le armi e scambiarci un segno di pace. Abbracciamoci fraternamente e torniamo ciascuno sulla propria strada, nella convinzione che il confronto è sempre un ottimo modo per crescere ed arricchirsi reciprocamente. Che ne dite? Pace fatta? Benissimo. Adesso potete tornare sul vostro profilo a fare finta di essere le persone che non siete.

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2)  Logica
Andiamo al succo: cosa mi rimproverate?  Di aver espresso un giudizio negativo sugli utenti di Facebook, dimenticando che “tutti sono liberi di scrivere ciò che vogliono”. Spiegatemi una cosa: perché questa regola dovrebbe valere per tutti tranne che per me?

3) Giuridica
La libertà di espressione del pensiero è una cosa seria. Si fa presto ad affermare di esserne convinti paladini quando non ci sentiamo in alcun modo chiamati in causa. Qualche tempo fa eravate tutti Charlie, poi siete diventati tutti Erri, ma guai a toccare il profilo Facebook altrui, perché il sentimento religioso ed il rispetto della legalità valgono molto meno delle vostre bufale virali. Alla fin fine, pochissimi di noi possono dire di essere veramente Charlie. La maggior parte assomiglia di più a Snoopy.

4) Medica
Guarda caso, i piccoli hater hanno tutti il vizio di scrivere almeno ottantacinque commenti, provando a sollevare le masse ed alimentare uno shit storm nei miei confronti. Insomma, si sentono offesi per ciò che ho scritto ed in dovere di intervenire nel dibattito; nella convinzione che il mondo giri tutto intorno a loro. A tal riguardo, consiglierei una visita specialistica. Potrebbe essere labirintite.

5) Religiosa II 
Quando Dio stava distribuendo l’ironia voi eravate in fila per il bagno.
Ma sul vostro profilo avete scritto che eravate in fila per la sincerità.

6) Filosofica
Riferendomi alla più gran parte degli utenti di questo social network, ho solo ripreso il pensiero di uno dei più interessanti filosofi contemporanei – attualmente docente presso la prestigiosa Università di Heidelberg – che ha spesso e molto chiaramente criticato la falsità dilagante su Facebook. Mi rendo perfettamente conto del fatto che anche io scrivo su Facebook e dunque la stessa accusa di falsità potrebbe essere rivolta nei miei confronti. Ma sapete qual è la cosa più bella? Non faccio nessuna fatica ad ammetterlo. Chi più chi meno, tutti utilizziamo il nostro profilo come una vetrina. La differenza tra me e voi non è la sincerità, ma l’(auto)ironia. Io indosso il vestito elegante dell’intelligenza, mentre voi andate in giro con i jeans a sigaretta.

7) Conclusiva
Insomma, sono assolutamente convinto che ci siano tantissime persone che citano solo frasi di autori che conoscono, non divulgano bufale, non hanno l’amante e non fanno finta di essere sempre felici.

Solo che nessuna di queste persone ha un profilo su Facebook.

Ps: Se Dio vuole, domenica prossima torniamo a parlare di cose serie ;)

“Lo Faccio Dopo”. Istruzioni per Riconoscere il Demone di “Accidia”.

1. Cosa intendiamo per “accidia”.
Secondo me “accidia” è un termine  parecchio appropriato, a suo modo, onomatopeico. Il suono è duro ed al tempo stesso molle – a causa della “i” centrale e, soprattutto, del dittongo finale. Se proviamo ad addentare questa parola, avvertiamo immediatamente una dolcezza acre che evoca lo stare sdraiati sul divano per ore a fissare il soffitto; interminabili viaggi dalla televisione al frigorifero nell’attesa che l’ispirazione per studiare o lavorare scenda magicamente dal cielo e si impossessi della nostra anima; intere giornate passate a crogiolarsi nel nulla, senza avere la forza o il desiderio di lavarsi i denti, farsi la barba, pettinarsi i capelli per uscire di casa. Attenzione, però l’accidia non è l’ozio, non si tratta di semplice pigrizia. Come sa benissimo Homer Simpson – ed i suoi infiniti allievi – il  pigro può essere tranquillo, sereno, felice. L’accidioso no, perché l’accidioso si tortura, infliggendosi il proprio castigo. Per questo, l’accidia rappresenta la ben più grave e perigliosa anticamera della depressione. Risultano davvero illuminanti, sul punto, le parole di uno tra i maggiori pensatori del novecento : “carceriere di me stesso invoco libertà ma so che la porta è chiusa a triplice mandata dall’interno, sono l’anima dannata messa a guardia del mio inferno” (Frankie H-Nrg). Insomma, l’accidia ha a che fare con lo smarrimento che avverte chi si è perso nel deserto: una sofferenza dell’anima, il tormento di chi sa che dovrebbe fare qualcosa, ma proprio non ce la fa – e si disprezza infinitamente per questo motivo. Se penso ad un esempio cinematografico, mi viene in mente Nanni Moretti che, indolente, si aggira ciondolante per casa e confessa alla figlia di annoiarsi a morte, perché nella vita nulla ha senso. Ma la ragazza, saggia ed impertinente, rimanda la palla nel campo del padre, rispondendo con un apparentemente tautologico: “ti annoi perché sei noioso”.
Sartre non avrebbe potuto scrivere di meglio.

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Il fannullone iperattivo.
Non è lecito combattere l’accidia facendo semplicemente altre cose. Se leggiamo l’opinione dei classici, notiamo che una parte fondamentale di questo vizio consiste proprio nella smania di agire per stordirsi -per fuggire da sé.  Di nuovo, mi viene in mente il personaggio di un film di Moretti. Si tratta della ragazza a cui il protagonista domanda: “scusa, ma tu cosa fai nella vita?”, sentendosi rispondere con un vago ed estremamente allusivo: “giro, vedo gente, conosco, mi muovo… faccio delle cose”. L’accidioso sente il bisogno di incontrare qualcuno, di andare a trovare un malato, di intraprendere un viaggio, ma tradisce clamorosamente il senso di tutto ciò che fa. Animato dal disprezzo per il presente, per il luogo e per la condizione in cui si trova, egli vorrebbe solo distrarsi, guarire dal sentimento che lo affligge fiaccandone la volontà e la morale. Allora si getta a capofitto nel mondo – con l’urgenza bulimica che ottunde la ragione dell’affamato. Eppure, nel mondo non trova altro che la propria infinita tristezza, perché è stato proprio a causa del mondo e dei suoi eccessi che ha smarrito la retta via. Insomma, l’accidioso spera di trovare una risposta nella causa del suo stare male come l’ubriaco che sente la necessità di avere altro vino, ma non è più in grado di avvertirne il sapore.

Accidiosi lo siamo tutti, perché, tutti siamo, ciascuno a suo modo, “metà scimmia, metà aquila reale” (M.A.). Per salvarci da questo demone, dobbiamo stabilire e rispettare limiti inderogabili – nel lavoro, nella meditazione, nello svago. Se sembra uno sforzo inumano, dipende dal fatto che tendiamo a pensare di poterci salvare grazie alla semplice forza di volontà, mentre per essere sereni, attivi e costanti nel perseguire i nostri obiettivi abbiamo soprattutto bisogno di amore.

Alla fine di tutto questo.
Alcuni anni fa, mio padre mi raccontò la barzelletta del riccone che, un lunedì mattina, decide di lasciare il suo ufficio per andare a fare un giro al mare. Arrivato sulla spiaggia, prende una bella boccata d’ossigeno, sentendosi parecchio felice e realizzato. Tuttavia, mentre osserva compiaciuto il panorama, nota che sulla spiaggia c’è un altro uomo. A giudicare dalla barba lunga e dai vestiti logori, quel signore non deve passarsela proprio bene. Decide allora di mettere la propria sapienza al servizio del poveretto.

-Buongiorno, permetti una parola?
-Ma certo dottore, dica pure.

-Ti voglio spiegare come si sta al mondo, amico mio, affinché anche tu un giorno possa sentirti come mi sento io oggi
-Dica, dica.

-Quando io ero piccolo, avevo sei anni, ho inizato a lavorare nella bottega di mio nonno, mi pagavano 100 lire al giorno, ho lavorato molto duramente sai?
-E poi?

-Poi a dodici anni, con i soldi messi da parte, ho comprato un piccolo carretto per vendere gelati e così, mentre tutti i miei coetani giocavano e si divertivano, io lavoravo, sudavo e mettevo da parte.
-E poi?

-E poi, con quei soldi, ho aperto il primo negozio… ed ho sudato sette camicie, sai? Mentre tutti gli altri andavano in discoteca e si facevano pagare le vacanze dai genitori, io già ero un uomo maturo, con delle responsabilità.
-E poi?

-Poi ho aperto una catena di negozi ed ora che sono finalmente divenato il re del gelato artigianale posso mollare tuttto un lunedì mattina e venire qui, davanti a questo splendido mare, a fumare un sigarette e godermi il panorama.

-Dottò, io proprio quello stavo facendo!

“Sei Meglio Tu”. Semplici Indizi per Smascherare un Superbo

Al contrario dell’invidia, la superbia sembrerebbe essere un vizio molto “rumoroso”. Eppure, i peggiori tra i superbi sono quelli che non lo danno troppo a vedere.

Questi individui si avvicinano a noi mimetizzati da persone normali, dimostrando di saper essere persino simpatici e brillanti. Tuttavia, non appena avremo abbassato le difese e li avremo fatti entrare nella nostra vita, saremo costretti a sopportarne la infinita ed inaccettabile protervia.

Per questo motivo, l’articolo di oggi è dedicato ai semplici indizi che ci consentono di smascherare un superbo ed allontanarlo dalla nostra vita.
Prima che sia troppo tardi.

Le persone superbe non sono particolarmente brave in nulla. Insomma, gli uomini che possiedono delle qualità non sono mai superbi. Il fatto è che per imparare a fare qualcosa, qualsiasi cosa, bisogna essere umili. In ogni campo si inizia dalle nozioni fondamentali, dai primi passi, da timidi e sgraziati tentativi. Si comincia sempre dal basso. Ma per il superbo è impossibile accettare di avere un Maestro. Ai suoi occhi, risulta parimenti inconcepibile l’idea di imparare osservando come si comporta un’altra persona. Anche quando provano ad imparare da soli, i  superbi non sono comunque in grado di migliorare, perché non riescono a comprendere i feedback che ricevono dalla realtà. Provo a spiegarmi: se una persona non riesce a fare qualcosa, anche una cosa banale, si ferma un attimo e si domanda “dove sto sbagliando?”. Se un superbo non riesce a fare qualcosa abbassa la testa ed insiste per ore come un mulo, continuando con lo stesso identico procedimento con cui ha iniziato. Quando, dopo un centinaio di fallimenti, ancora non sarà riuscito ad ottenere quello che voleva, inizierà a guardarsi intorno sospettoso, domandandosi chi sarà mai quel bastardo che porta sfiga. Questa è un’altra fondamentale caratteristica del superbo:  egli crede ciecamente nella sfortuna  – vera ed unica artefice di tutti i suoi fallimenti – e nella fortuna – che caratterizza, invece, i successi degli altri. Il superbo è talmente convinto che i suoi insuccessi dipendano esclusivamente dalla sua incredibile sfortuna da dichiarare al mondo di non essere superstizioso, perché porta iella.

Superbia

Ancora, il superbo non sopporta le leggi, perché, come insegniamo alle matricole del primo anno di studi in Giurisprudenza, le norme giuridiche sono strutturalmente generali ed astratte. Ciò a dire, la norma giuridica riguarda la generalità dei consociati – oppure, chiunque si trovi ad avere un determinato status.  Provo a spiegarmi facendo qualche esempio: “Chiunque sottrae la cosa mobile altrui (ruba) è punito con la pena di…”; “Il Presidente della Repubblica (qualsiasi Presidente) ha il potere di…”; Il Sindaco di Roma (qualsiasi Sindaco) non può andare a cena con il Papa se non viene invitato. Ovviamente, tutto ciò risulterà parecchio urticante per il superbo. Per Sua Unicità, dover rispettare le regole risulta tanto comodo quanto indossare un maglione di lana a collo alto il 15 agosto.  Messo di fronte ad una regola, si sentirà con le spalle al muro, ed inizierà a dibattersi come una falena contro una lampadina al neon. “Siamo proprio sicuri che non si possa fare un’eccezione?”. Le leggi valgono per le persone comuni, lui, invece, è una superstar.

Come diretto ed importantissimo corollario, il superbo è un ritardatario da competizione. Passiamo metà della nostra vita ad aspettare che queste persone si ricordino dove ci hanno lasciati. In fondo, è solo il nostro tempo che stanno sprecando, per quale motivo dovrebbero preoccuparsi? Non vorrei apparire eccessivamente caustico, ma credo di conoscere almeno un superbo che sarebbe capace di arrivare tardi anche il giorno del suo funerale.

Infine, i superbi sono tristi. Sempre. Perché la società, gli amici, i parenti e Dio non si dimostrano mai in grado di offrire il giusto tributo alla loro sconfinata grandezza. Sua Magnificenza è sempre convinto di meritare il massimo, qualsiasi cosa faccia, in qualunque modo lo faccia. Per questo motivo, non sarà mai soddisfatto della sua casa, della sua macchina, della sua famiglia. Si sentirà un genio incompreso e maltrattato da una società troppo stupida e volgare per apprezzarne l’infinita genialità. L’unico modo per fargli capire come stanno realmente le cose è usare l’ironia, ad esempio, potreste regalargli una t.shirt con la scritta “Dio è morto, Marx è morto ed anche io non mi sento benissimo”, oppure, scegliere la più diretta e veritiera: “Dio esiste. Ma non sei tu. Rilassati”.

2. La ragione è dei fessi
Se quanto detto sino ad ora dovesse sembrarvi poco, aggiungo che è praticamente impossibile discutere con un superbo. A prescindere da quale sia l’argomento della conversazione, Sua Magnificenza ne capirà e ne saprà comunque più di voi. Non sperate di risolvere la discussione chiamando in causa l’opinione di un esperto, il Superbo resterà del tutto indifferente alle vostre citazioni dotte, perché egli non ammette che esista alcuna autorità al di fuori della sua (piccola) testa.

Freud, riprendendo un’antica intuizione di Kant, scrive che tutto questo dipende dal fatto che il superbo è un ipocrita.

Ma io sono convinto che si sbaglino entrambi.

3. Epilogo. “La dura realtà”.

Una sera di qualche anno fa mi trovavo in macchina con la mia (ex) fidanzata. Avevo capito che lei, quando uscivamo insieme, non era serena. Intuivo il motivo di questo disagio e sentivo che dovevo assolutamente fare qualcosa, prima che la situazione degenerasse.

-Vedi, tesoro, io non vorrei mai che tu ti sentissi in imbarazzo, bloccata o peggio ancora sotto esame quando sei con me. Tutto quello che io ho fatto ed ottenuto nella vita – il mio successo – non ha nulla a che fare con la nostra storia. Io vorrei davvero che tu, quando sei con me, fossi rilassata, spontanea, a tuo agio. Ecco, a me piacerebbe che  tu ti comportassi  con me come ti comporti con i tuoi amici. Io voglio vedere la vera te, voglio stare con la vera te, non con una persona tesissima che vive con la tremenda paura di commettere irreparabili errori ogni volta che dice o fa qualcosa. Per questo motivo, ti prego, ti prego, ti prego: considerami e trattami semplicemente per quello che sono.

-E cosa saresti?

-Il numero uno.

Sette Vizi Capitali. L’Invidia.

Senza ombra di dubbio, l’invidia è uno tra i vizi capitali più diffusi nel nostro Paese. Alzi la mano chi non ha mai provato invidia in vita sua e, soprattutto, chi non si è mai sentito invidiato. Non sapete di cosa sto parlando? Non ci credo. Se l’invidia facesse crescere le ali, l’Italia sarebbe un aeroporto. Osservatela bene.
Non è uno stivale, è una portaerei.

Sette VIzi

1. Tre famiglie
Gli invidiosi possono essere divisi in tre grandi famiglie:

1) quelli che scompaiono. Quando le cose non girano per il verso giusto, queste persone vi telefonano, vi scrivono su whatsup, vi mandano sms, lettere, messi comunali e piccioni viaggiatori. Insomma, vi stalkizzano giorno e notte senza alcuna pietà. Al minimo cenno di ripresa, diventano ombre del passato. Privi di sangue e disperati- come anime affogate nello Stige – strisciano furtivi alle vostre spalle. Imitando l’omicida di Scream.

Se proprio non riusciranno ad evitarvi, faranno finta di non sapere nulla di ciò che avete fatto o ottenuto di buono nella vita. Per quanto possano sforzarsi, vi accorgerete immediatamente della loro sofferenza, perché la verità è che niente fa più rumore del silenzio di un invidioso.

2) quelli che ti offendono facendoti i complimenti. “Che occhi fantastici che hai! Si notano molto… forse perché sono l’unica cosa bella del tuo viso!”. “Ho dato un’occhiata al tuo blog. Complimenti per le citazioni! Ed anche per le foto che usi. Peccato che entrambe le cose non siano tue!”. Esattamente come il Sindaco Marino, queste persone partono bene. Ma si tradiscono da sole. E finiscono per fare una brutta figura.

3) quelli che si comportano come la volpe della famosa favola, disprezzando apertamente ciò che non possono avere. Io, ad esempio, me ne sono fregato del fatto che non mi abbiano riconosciuto neanche una misera nomination ai “premi della rete” In fondo, ho solo totalizzato 150.000 visualizzazioni in meno di un anno, per quale motivo avrei dovuto aspettarmi di ricevere un seppur minimo riconoscimento?

2. Invidia è autolesionismo
Gli invidiosi danneggiano prima di tutto se stessi.  Sono vittime di un atteggiamento negativo che li allontana irrimediabilmente dal successo. Chi prova invidia si convince facilmente che il prossimo non ha alcun diritto di avere ciò che ha – o di essere ciò che è. Il risultato di queste convinzioni è che l’invidioso non sarà mai in grado di impegnarsi per ottenere qualcosa.

Che senso avrebbe darsi da fare, se, in fondo, è tutta questione di fortuna?

Questa è la immensa differenza che separa l’invidia dall’ammirazione. Chi ammira riconosce la grandezza altrui, anche se (di)spera di poter raggiungere gli stessi obiettivi raggiunti dal suo modello. Per questo motivo, dall’ammirazione nasce sforzo, passione e, spesso, amore. Dall’invidia, invece, non nasce nulla. Se non cattiveria e frustrazione.

3. Il successo del panino al prosciutto
L’invidia è tanto diffusa perché le persone tendono a confondere due categorie di beni: i beni competitivi ed i beni non competitivi.

Per fare un esempio, pensiamo alla differenza che passa tra un panino al prosciutto – bene competitivo per eccellenza – e la cultura – che è, invece, un bene non competitivo. Il panino è un bene esclusivo e competitivo, perché, per essere sfruttato ed apprezzato pienamente, deve appartenere ad una sola persona. Se (con)dividi il tuo panino, resterai con mezza merenda tra le mani – a meno che tu non sappia fare altri giochetti, come camminare sulle acque o resuscitare i morti.

La cultura, al contrario, è non competitiva: se (con)dividi le tue idee con qualcuno, avrai in cambio idee migliori, oppure, il doppio delle idee.

Per smetterla di essere invidiosi dobbiamo renderci conto che il successo non è un bene esclusivo e competitivo. Il mondo è grande, c’è posto per tutti! Ogni giorno abbiamo infinte occasioni per essere felici e realizzare i nostri desideri – la prima delle quali è svegliarsi presto e rimboccarsi le maniche.

Voglio dire: la scandalosa fortuna del nostro vicino di casa non ci danneggerà in alcun modo. Se lui esce con Giorgia Palmas questo non significa che noi saremo costretti a sposare la moglie di Fantozzi.

4. Il genio del manuale
La parola “invidia” deriva dal latino “in”- “videre” che significa, letteralmente, “guardare di sbieco” qualcuno. Forse per questo motivo, ho sempre trovato deliziosa questa storiella: una notte, mentre sta pulendo un polveroso manuale di diritto privato, un docente universitario riesce ad evocare un genio.

“Chiarissimo, Professore, La ringrazio per avermi liberato! Per compensarLa, esaudirò un Suo desiderio”.

“Solo uno?” .

“Solo uno. C’è la crisi. E poi, ce lo chiede l’Europa” .

“Qualsiasi cosa?”.

“Si, ma tenga presente che farò avere il doppio di ciò che mi chiede
al suo più acerrimo rivale accademico”.

“Cavami un occhio”.

Più Ignoranti Di Una Capra

Sono sicuro che avrete già sentito dire da qualcuno che “i giovani d’oggi sono più ignoranti di una capra; passano la vita su Facebook, figurati se hanno letto Cent’anni di solitudine; si vanno a drogare in discoteca, figurati se hanno mai ascoltato un disco di Keith Jarrett; frequentano solo il parco, figurati se sono mai entrati in una biblioteca”. E così via…

A mio avviso, questi giudizi non sono ingenerosi.  Sono completamente sbagliati.
Si tratta di beceri luoghi comuni che, nel migliore dei casi, dimostrano esclusivamente la superficialità di chi li pronuncia.

Nel peggiore, sono un chiaro sintomo di malafede.
Proviamo a vedere insieme perché.

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1)“I giovani d’oggi sono ignoranti” è una generalizzazione e, come tutte le generalizzazioni, puzza di qualunquismo. Voglio dire, sostenere che i giovani sono ignoranti è come affermare che i rom rubano, che le persone di colore hanno il ritmo nel sangue o che gli anziani sono rimbambiti. Quando giudichiamo intere categorie di persone ci allontaniamo immancabilmente dalla verità. I giudizi sommari ed i luoghi comuni sono come Cacciari e le trasmissioni della Gruber: in linea di principio, sarebbero due cose diverse, ma nella realtà dei fatti sembra che l’uno non possa fare a meno dell’altro.

2) Molte persone sono convinte che le nuove generazioni sarebbero più ignoranti delle precedenti e la colpa dovrebbe essere attribuita – “udite udite” – a internet e ai social network in particolare. Si tratta di un giudizio molto sensato. Mi ricorda la barzelletta del matto che batte continuamente le mani per scacciare gli elefanti. Si avvicina un dottore e domanda: “mi scusi, perché lei batte le mani?”, il matto risponde: “per scacciare gli elefanti Dottore!”, “Ma benedetto figliolo, in questa clinica non ci sono elefanti!” , “Appunto Dottore! Appunto!”.

Se non vi è piaciuta è perché siete troppo anziani ed avete perso il senso dell’umorismo.

Scherzi a parte, vorrei essere molto chiaro al riguardo: chiunque affermi che le generazioni attuali sono più ignoranti delle generazioni passate afferma una sciocchezza di dimensioni bibliche. Non a caso, il premio Nobel Jeremy Rifkin sostiene che siamo entrati nell’epoca del capitalismo culturale. Secondo voi è normale che si vendano libri negli autogrill, libri nei supermercati, libri dal giornalaio? Se rispondete di sì è perché siete nati negli anni ’90. Ai miei tempi se volevi un libro dovevi andare a cercare in libreria. Oggi sono i libri che ti corrono dietro. Ieri mattina sono stato costretto a dare fuoco ad una copia di “Cinquanta sfumature di grigio” che continuava a citofonarmi per avere uno scambio di idee.

Innegabilmente, noi viviamo nella società delle informazioni. Informazioni diffuse, gratuite e libere. Siamo d’accordo che essere informati non significa avere cultura, ma senza possedere le informazioni non c’è nessuna possibilità di costruirsi una cultura.

Insomma, la facilità con cui possiamo reperire qualsiasi dato pone le basi perché le persone migliorino le proprie conoscenze – si trattasse anche solo del colore del cappello di Pippa Middleton.

3) Secondo incontrovertibili dati economici la condizione dei giovani è andata via via peggiorando. A partire  dalla metà dagli anni ’80, il nostro Paese si è lentamente avvitato su se stesso. Gli avvocati, i dentisti, gli architetti ed altre centinaia di lobby professionali hanno iniziato a fare di tutto per rendere sempre più difficile l’arrivo di nuove reclute ed il ricambio generazionale che ne sarebbe naturalmente conseguito.  Per questo motivo, i nostri  ragazzi trovano un lavoro, si sposano ed “invecchiano” più lentamente di tutti gli altri.

Quest’estate mi è capitato spesso di entrare in un locale pubblico in compagnia di alcuni amici ed essere accolto da frasi come: “arrivo subito, ragazzi”. Oppure, “cosa volete ordinare, ragazzi?”. Ho provato un certo fastidio ed ho pensato: “Come ragazzi? Ho 40 anni suonati. Potrei essere tuo padre. Anzi, va’ un po’ a chiamare la mamma che ci togliamo subito il dubbio!”. Poi, mi sono ricordato che in Italia l’adolescenza finisce in un periodo che oscilla tra i 62 anni ed i 64 anni, mentre nel resto del mondo, dopo i trenta, sei “troppo vecchio anche per morire” (cit. Vite a Consumo ).

Dal punto di vista culturale, il blocco del mercato del lavoro ha prodotto innegabili effetti “positivi”: per (sperare di) trovare (un qualsiasi) lavoro, i ragazzi di oggi devono portare a compimento la scuola dell’obbligo, l’Università, almeno un Master ed una Scuola di Specializzazione; devono conoscere almeno due lingue (più tutti i dialetti del Nord) e devono possedere comprovate competenze informatiche.

A tal proposito, ieri ho letto su Facebook questa simpatica battuta: “Hai ragione papà, non devo prenderti in giro perché chiedi a me di insegnarti ad usare un computer, in fondo, tu mi hai insegnato ad usare un cucchiaio”.

Se tutto questo è vero, perché si parla sempre male dei giovani? Palahniuk scrive che tutto ciò dipende dal risentimento: ogni generazione vorrebbe essere l’ultima e scopre, con un certo fastidio, di non aver detto l’ultima parola su nulla.

Gibran ci esorta ad accettare i giovani per come essi sono, senza pretendere che rispettino le nostre aspettative:

“I tuoi figli non sono figli tuoi,
sono figli e le figlie della vita stessa.
Tu li metti al mondo, ma non li crei.
Sono vicini a te, ma non sono cosa tua.
Puoi dar loro tutto il tuo amore, ma non le tue idee,
perché essi hanno le loro proprie idee.
Tu puoi dare loro dimora al loro corpo, non alla loro
anima,
perché la loro anima abita nella casa dell’avvenire,
dove a te non è dato entrare, neppure col sogno.
Puoi cercare di somigliare a loro, ma non volere
che essi somiglino a te,
perché la vita non ritorna indietro e non si ferma
a ieri.
Tu sei l’arco che lancia i figli verso il domani”.

Insomma, lasciate in pace i ragazzi. Se sbagliano qualcosa – qualsiasi cosa – la colpa maggiore è sempre di chi non li ha saputi educare.

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