Oggi è una giornata importante per chiunque ami i fumetti. È un incipit riduttivo, me ne rendo conto. Perché Michele Rech, autore di di Zerocalcare, è molto più di un “semplice” fumettista e la sua opera è molto più di un “semplice” fumetto.
Tanto per cominciare, da oggi Zerocalcare è una serie – di cartoni animati; da qualche mese è una raccolta di action figure (altrimenti detti pupazzetti) ed è già stato un film di discreta fattura. Poi perché da ormai dieci anni il suo autore ci regala romanzi a fumetti di rara bellezza – tanto da arrivare meritatamente tra i finalisti del Premio Strega con l’ottimo “Dimentica il mio nome”. Infine, perché questo personaggio “autobiografico di fantasia” ha raccontato con incredibile acume e integrità alcuni tra i temi più spinosi e attuali del nostro tempo – come, ad esempio, la lotta per l’indipendenza del Rojava.
Aggiungete che i suoi lavori – profondi, veri, ricchi di citazioni colte – sanno far ridere fino alle lacrime e avrete finalmente compreso la formula di tanto successo.
Per me Michele Rech, rappresenta un modello di perfezione – ovviamente nel suo ramo. Fa parte di un Olimpo popolato a gente del calibro di Assalti Frontali, Elio Germano, Erri de Luca, Stefano Bollani, David Foster Wallace, Sigmund Freud, Ludwig Wittgenstein e Francesco Totti.
Se ancora non lo conoscete, fatevi un regalo, andate in libreria e comprate uno dei suoi primi lavori – uno qualsiasi, tanto li troverete tutti. Andrete a colpo sicuro.
Sono circa dieci anni che regalo i suoi fumetti a parenti ed amici e sono diventati tutti fan come me già alla prima lettura.
Non ho ancora visto mezza puntata perché oggi avrei un esame – da studente – ma vi prometto una recensione in tempi strettissimi.
Per ora, congratulazioni e auguri, Michele.
E grazie di cuore, di tutto.

Scoperto tardi, con la serie. Dieci anni fa avevo amici che mi linkavano il suo blog ma trattai le strisce con sufficienza (“carine, sì, ma niente di che…”) come spesso tratto con sufficienza le cose che si trovano sul web – si leggono in fretta e furia perché si ha sempre l’impressione di avere qualcosa di impellente e di più /interessante/ da leggere subito. Sto recuperando i fumetti e devo dire che sono bellissimi. Sto recuperando, peraltro, anche lavori di altri aristi (come Gipi). Trovo che di Wallace abbia qualcosa. Inconsapevolmente – l’ho sentito dire di conoscere Wallace solo perché ha sentito l’audiolibro de “Una cosa divertente…” (che gli è piaciuto). Trovo che abbiano dei punti in comune, al di là del mezzo espressivo usato (il fumetto è necessariamente più diretto). Le citazioni pop, per dire, la tendenza a mettere in discussione la propria idea anche in maniera ossessiva. Il fatto di mortificarsi sulle pagine – crea empatia. Una certa insoddisfazione di fondo, nonostante il risultato raggiunto. Quando poi ho sentito dire a Zerocalcare che scrive fumetti anche perché la gente si senta meno sola (un mantra di Wallace) il paragone mi è parso ancora meno forzato…
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