
Silvia è tornata libera ieri, dopo un anno e mezzo di prigionia. La parte sana di questo Paese ha festeggiato l’evento con profonda gioia e spontanea commozione. La parte malata non ha invece perso occasione per riversare su Silvia tutto il suo odio represso, la sua cattiveria, la sua intima e bruciante frustrazione.
Amici miei, è inutile riprendere e commentare una ad una le strabilianti e vergognose sciocchezze che certi topi da tastiera hanno potuto scrivere su Silvia, il discorso è molto semplice e si riduce alla cosa che amano di più certi italiani, in assoluto.
Si chiama “colpevolizzare la vittima”.
Riguarda la donna che viene violentata ed uccisa “per amore” (notare le virgolette); la/il volontaria/o che viene rapito o ucciso in un Paese straniero; il piccolo delinquente massacrato tra le mura silenziose di una questura – o ucciso in carcere.
Cerchiamo di capirlo una volta per tutte: la vittima non è mai colpevole; la vita, la dignità e l’incolumità di un’altra persona meritano di essere tutelate sempre, non ci sono “ma” o “però” che tengano.
Se riuscite a vedere qualcosa di marcio anche nella libertà di Silvia vuol dire che il marcio l’avete dentro, negli occhi. Ed io, sinceramente, provo parecchia pena per voi.
Roma 10.5.2020
Bentornata a casa, Silvia.
Non c’è altro da aggiungere.