Il 3 marzo del 1991 Rodney Glen King venne fermato dalla polizia di Los Angeles per eccesso di velocità. Alle 12.30 della mattina, due agenti della stradale notarono che la sua auto andava troppo veloce ed intimarono al conducente di fermarsi, ma King, che di lavoro faceva il tassista ed aveva paura di perdere la licenza, decise invece di accelerare. Iniziò così uno di quegli inseguimenti che abbiamo visto tante volte in televisione, con ben quattro macchine della polizia e tanto di elicottero coinvolto. Quando finalmente riuscirono a fermarlo ormai era calata la notte. Dall’auto scesero due passeggerei e, da ultimo, lo stesso guidatore. Nessuno di loro era armato. Nessuno di loro provò a fuggire. King fece tuttavia l’errore di consegnarsi alla polizia ridacchiando. Con la mano, salutò ironicamente l’elicottero che stava volando sulle loro teste.
Per immobilizzarlo, i poliziotti utilizzarono due volte il taser -uno strumento che emette un forte scarica elettrica. Quando provò a mettersi in ginocchio, due di loro presero a manganellarlo contemporaneamente, mentre un terzo gridava di utilizzare colpi violenti – power strokes. King cercò nuovamente di rimettersi in piedi, ma l’agente Koon ordinò ai suoi uomini di tornare a colpire con forza “spalle, ginocchia, polsi, anche”. Il corpo di King venne quindi raggiunto da 33 colpi di manganello che, assieme ai sei calci ricevuti, gli procurarono undici fratture in diverse parti del corpo e danni cerebrali permanenti. Infine, otto agenti di polizia gli furono addosso, gli misero le manette e lo lasciarono con il volto rivolto al suolo ad aspettare l’arrivo dell’ambulanza.
Come faccio a sapere tutte queste cose? Semplice, le ho viste.
George Hollyday, un videoamatore americano, riprese l’intera scena dal suo balcone.
“Videoamatore” era il nome che davamo, negli anni novanta, a chi portava sempre con se una videocamera. Non vi fa riflettere il fatto che questa parola, oggi, non abbia più alcun senso?
Il video del pestaggio di King fu trasmesso dalla televisione e sconvolse l’America. Seguirono giorni e giorni di sommosse e scontri con la polizia. Los Angeles fu letteralmente data alle fiamme. Quando, grazie all’impiego dell’esercito, della guardia nazionale e dei marines, l’ordine fu finalmente ristabilito, il risultato finale fu di cinquantatre morti, duemila feriti, settemila incendi e più di un milione di dollari di danni.
A tutto questo ho pensato pochi giorni fa, quando un afroamericano è stato ucciso nella sua macchina dalla polizia. Immediatamente dopo l’omicidio, la fidanzata era già in diretta su Facebook. In quel video, possiamo vedere il corpo sanguinante del suo uomo, vediamo la bambina agitarsi nel sedile di dietro e vediamo soprattutto l’agente di polizia che urla e punta la pistola contro la donna.
L’agente di polizia punta la pistola contro la donna.
La donna punta contro l’agente di polizia il suo telefono cellulare.
Vorrei essere chiaro. Non sto cercando di dare alcun giudizio sulla condotta della polizia. Ci sono molte cose che sfuggono al nostro sguardo. Cose che non si possono giudicare da un filmato, per quanto possa sembrare chiaro ed autoevidente – come, ad esempio, le procedure da rispettare nel caso in cui la persona fermata non collabori, il dubbio – più o meno legittimo e fondato – che quella persona abbia un’arma o il numero di agenti che muoiono o vengono feriti annualmente perché non prendono tutte le precauzioni del caso. No, non è questo il punto.
Quello che mi interessa è provare a riflettere con voi su quel confronto, davvero iconico, tra la pistola e il cellulare. Ciò che mi interessa è riflettere su ciò che è accaduto in questi ultimi anni. Stiamo assistendo ad una rivoluzione storica, epocale. I nativi digitali non se ne rendono conto, non hanno idea di quale sia il problema e non possiamo pretendere che ne restino affascinati: sarebbe come pretendere che i pesci si stupiscano perché vivono in acqua. Tutti gli altri si limitano a scuotere il capo, dicendo cose del tipo “ai miei tempi andavamo a giocare a pallone nei campi, invece di passare ore davanti al computer”. Nel mentre, un ragazzo di 32 anni viene corteggiato e ricevuto dai più importanti Presidenti e Capi di Stato del mondo; il Governo degli Stati Uniti è costretto a ricorrere agli hacker per farsi sbloccare l’Iphone di un criminale…
Il potere sta passando di mano.
Lentamente, silenziosamente, inesorabilmente.
Dagli Stati Sovrani ai Social Network.
Dagli Stati Sovrani ai Social Network.
Se è vero che per la maggior parte del tempo noi usiamo i social per condividere selfie, per giocare a candycrush o diffondere insulse catene; se è vero che quasi tutti stiamo cadendo vittime del divismo, dell’egocentrismo e dell’ipocrisia, è anche vero che ogni giorno usciamo di casa con sei miliardi di persone in tasca.
Tutto questo ci rende infinitamente più liberi.
E soprattutto sicuri.
Consentitemi di concludere con tre brevi citazioni musicali
“E’ successo a brother Rodney King, colpevole del crimine di esser nato nero nella buia capitale dell’impero del denaro. Colpo su colpo, battuto come un polpo, legato, incaprettato e trascinato per lo scalpo documentato, l’hanno filmato, pagine d’odio scritte sul selciato, vergate col sangue di un uomo innocente, impotente, che con quei bastardi non c’entrava niente, ma cara gente quotidianamente, succede anche in Italia, ma non si sente” – Libri di Sangue, Frankie H-NRG.
“Un sogno fantastico prende espressione, quando i ribelli entrano in comunicazione” – Si può fare così, Assalti Frontali.
“L’unico miracolo politico riuscito in questo secolo è stato fare sì che gli schiavi si parlassero, si assomigliassero, perché così faceva comodo per il mercato unico e libero. Però succede che gli schiavi si conoscono, si riconoscono, magari poi riconoscendosi succede che gli schiavi si organizzano. E se si contano, allora vincono” – Kunta Kinte, Daniele Silvestri