Dovrebbe essere grato chi dà

0. La nuova casa
Da quando ho modificato la home del blog – festeggiando i risultati raggiunti negli ultimi sei mesi – molte persone mi hanno scritto per “ringraziarmi”, confidandomi che stanno attraversando un “periodo particolare” o “di difficoltà” e che la lettura del blog, in qualche modo, li sta aiutando a sorridere e riflettere. Tutto ciò ha provocato in me due sensazioni contrastanti, la prima è stata la gioia della comunicazione, dovuta al fatto che
questo esperimento sta riuscendo, alla consapevolezza che stiamo effettivamente condividendo qualcosa. La seconda è stata la sensazione che molti stanno attraversando un periodo difficile –  a prescindere da questo maledettissimo caldo – fatto di solitudine, e nostalgie.  Tutto ciò mi ha offerto lo spunto per la riflessione di questa settimana.
Premetto una cosa molto importante: pur avendo tratto ispirazione da alcuni messaggi, non mi riferisco in alcun modo alla specifica situazione in cui versano le persone che mi hanno scritto. Insomma, “ogni riferimento a fatti o persone […]” è puramente casuale.

Coltiva1

1. La prima soluzione.
La cura che io propongo a tutti coloro i quali sentono di non essere pienamente appagati e felici, la soluzione che suggerisco a tutti coloro i quali si svegliano e vanno a dormire con un macigno sul petto, insomma, la via di uscita che mi sento di indicare a tutti coloro i quali si sentono strangolare dalle nevrosi è di fare qualcosa per gli altri. Concretamente. Io vi invito a spostare il vostro baricentro interiore, la vostra attenzione. Dovete distogliere l’occhio della coscienza dalla condizione in cui vi trovate. Provate ad andare verso l’esterno. Esistono milioni di associazioni di volontariato che si occupano dei problemi più disparati: dall’accoglienza dei profughi alle cure per gli anziani, dalla tutela dell’ambiente, al ricovero degli animali abbandonati. Scegliete la vostra causa ed impegnatevi, seriamente, per qualcuno o qualcosa. Non è facile smettere di preoccuparsi per se stessi. Prima di tutto, perché non è naturale – il nostro istinto di conservazione ci suggerisce di prenderci cura, prima di tutto, della nostra vita – e poi, perché i mezzi di comunicazione ci raccontano ogni giorno che dobbiamo “prenderci cura di noi”, perché noi siamo tremendamente importanti.
“Come ti senti oggi? Di cosa avresti bisogno per essere veramente felice? Prendi ciò che vuoi, perché tu sei speciale, te lo meriti”. Per non parlare del divismo che dilaga sui reality, sui talent e sui social network (Il fatto che abbia una pagina pubblica e che utilizzi Facebook non significa che approvi tutto quello che leggo – ho una casa a Roma, ma questo non significa che sottoscriva tutto quello che fanno o dicono i miei concittadini). Il risultato di tutta questa spazzatura mediatica è che le persone si convincono davvero di essere speciali, magiche, uniche. Quindi, credono di dover quantomeno raggiungere – o peggio ancora di dover difendere – uno status esistenziale fatto di assoluta comodità e benessere. Come diretta conseguenza, le nevrosi di queste persone crescono sino a divorarne la vita: un principessa non può permettersi di uscire di casa con un capello fuori posto, una modella non può avere due etti di troppo sui fianchi, un super eroe non può guidare una utilitaria, una rock star non vive in una casa di periferia. Follie quotidiane che amplificano l’insoddisfazione e la solitudine, impedendoci di essere felici e di vivere.

2. La seconda soluzione.
Smettila di pensare a te stesso, al tuo fisico, al tuo status, al tuo conto in banca, al tuo lavoro… tutte queste cose non ti hanno dato la felicità sino ad oggi, perché dovrebbero aiutarti ad essere felice domani? Forse dovresti accettare l’idea che non sei in alcun modo speciale, non sei in alcun modo unico, non sei in alcun modo irripetibile e perfetto. Sei un essere umano. Speciale come lo sono tutti gli esseri umani, unico come lo sono tutti gli esseri umani, irripetibile quanto tutti gli altri ed imperfetto – esattamente come tutti gli altri.
Più cerchiamo di difendere la nostra immacolata perfezione, più perdiamo il contatto con la realtà, cadendo vittime di mille insoddisfazioni. Qualcuno ha scritto che l’avaro vive da povero per morire da ricco. Evitiamo questa trappola, perché, come ha ricordato più volte il Santo Padre, i sudari non hanno tasche. Un giorno il nostro viaggio terreno avrà fine, quel giorno malediremo il tempo che abbiamo buttato sforzandoci di essere più belli, più ricchi, più importanti. Di noi, resterà solo l’amore che abbiamo donato.

Se volete definitivamente rovinare la vita di una persona, regalatele qualcosa da difendere. Non conta che siano soldi, la stima degli altri, l’amore delle donne o potere decisionale: il possesso è una trappola.

Per essere veramente liberi e felici, abbiamo bisogno di muovere costantemente e consapevolmente verso un “punto di perdita”.

Come insegna un vecchio adagio zen: “dovrebbe essere grato chi dà”.

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: