1. Breve fenomenologia dei sentimenti.
La paura è importante, perché ci insegna ad essere prudenti. Molte delle cose che facciamo – o che non facciamo – dipendono dal fatto che abbiamo paura di subire un danno o di provare un dolore. Ad esempio, mio nonno materno era un fumatore incallito. Un giorno decise di farsi visitare da un medico perché aveva una brutta tosse ed il dottore gli spiegò che la colpa era delle sigarette, che il fumo faceva male e che, se continuava a fumare, rischiava di ammalarsi seriamente. Nonno rimase sbigottito. Cinquanta anni fa la dannosità del fumo non era tanto scontata ed ovvia come lo è per noi oggi. Così, nonno uscì dallo studio di quel medico e buttò in un cestino la sua ultima marlboro. Da allora, e per il resto dei suoi giorni, non toccò più una sigaretta. Se le faceva accendere da nonna. Scherzi a parte, la paura è una maestra saggia che mostra agli uomini la retta via. In questo senso Thomas Hobbes ne parla come di una “passione ragionevole” che, spingendo gli uomini a sottoscrivere il contratto sociale, rappresenta la base fondante dello Stato. Non dobbiamo quindi rinnegare le nostre paure, perché vivere senza paura significherebbe rinunciare ad una parte fondamentale della nostra umanità. L’uomo che non ha paura è un uomo a metà – come l’uomo che non piange, l’uomo che non ride o l’uomo che non ama. Al pari di tutti gli altri sentimenti, la paura rappresenta una parte essenziale della nostra umanità. Per questo motivo, esattamente come ogni altro sentimento, anche la paura può “ammalarsi” e crescere sino a subire una metamorfosi, divenendo terrore.
Provare paura è sano, addirittura utile, mentre essere terrorizzati è certamente deleterio. In questo, come in moltissimi altri casi, risulta dunque comprovato un antico insegnamento alchemico secondo cui “è la quantità che fa il veleno”.
2. Stallo
L’ossessione per una persona non è amore, ma una perversione. La depressione suicida non è tristezza, ma una perversione. Il terrore non è paura, ma una perversione. A differenza della paura – che induce ad agire; a continuare a fare; ad iniziare a fare; a smettere di fare o non fare mai qualcosa – il terrore blocca, paralizza, impedisce persino di ragionare. Per questo motivo, il nostro peggiore nemico cercherà in tutti modi di spaventarci: i pugili, prima o durante un incontro, rivolgono sempre garbate paroline al proprio avversario; alcuni difensori, nel sottopassaggio che porta al campo di calcio, restano volutamente a petto nudo, in modo che gli attaccanti dell’altra squadra possano apprezzarne la muscolatura, e capire da che parte tira il vento. Perché spaventare qualcuno a morte significa aver assestato un colpo di fondamentale importanza. Ancor prima di aver iniziato il match.
3. Sfumature
In un Paese come il nostro, che ama fare certe distinzioni, il terrorismo viene solitamente suddiviso in terrorismo di destra e terrorismo di sinistra. La differenza starebbe nel fatto che il terrorismo di sinistra avrebbe sempre colpito obiettivi specifici – magistrati, sindacalisti, politici – con la finalità di “colpirne uno per educarne cento”. Dal canto suo, il terrorismo di destra avrebbe sempre sparato nel mucchio, mettendo bombe nelle piazze, nelle stazioni, nelle banche… A prescindere dalla validità di questa distinzione, è certo che la finalità del terrorista sia quella di diffondere, il più brutalmente possibile, un messaggio di morte: nessuno, in nessun luogo ed in nessun momento, deve sentirsi al sicuro. Per questo motivo non credo che il terrorista debba essere considerato un rivoluzionario. Perlomeno, non è detto che si tratti di due figure perfettamente sovrapponibili. Di fatti, il terrorista non si impegna necessariamente per sovvertire lo status quo. Non è detto che egli, provocando il caos, agisca contro il potere e non finisca, più o meno volontariamente, per favorirne il mantenimento – sollecitando l’adozione di leggi speciali e giustificando, con la propria azione, rappresaglie di ogni ordine e genere. Voglio dire: il gruppo di esuli che decise di fare la rivoluzione a Cuba era sicuramente formato da rivoluzionari, perché, agendo con lo specifico fine di sovvertire una dittatura, colpiva i militari avversari utilizzando la micidiale tecnica della guerrilla. Al contrario, i gruppi dell’ISIS non hanno affatto attaccato la polizia, l’esercito o i centri del potere, ma un teatro, alcuni bar e lo stadio – non avendo apparentemente altra intenzione che non fosse quella di diffondere il terrore tra la popolazione.
La tesi per cui le rivoluzioni nascono dal terrorismo ricorda molto da vicino la tesi per cui bombardare i civili aiuta a sconfiggere le dittature: il valore di entrambe è ancora tutto da provare.
4. Conclusioni
Dobbiamo quindi distinguere la paura dal terrore: la prima è quel sentimento che ci spinge a controllare periodicamente il cellulare del nostro partner, il secondo è quel sentimento che nasce il giorno in cui scopriamo che esiste (almeno) un secondo telefono da tenere sotto controllo.
Scherzi a parte, a me pare evidente che stiamo combattendo una guerra contro un esercito di fantasmi che vive sul nostro stesso territorio. Non possiamo dunque sperare di vincere fino a quando non decideremo di adottare una strategia adatta alle peculiarità del nostro avversario.
Intendo dire che il terrorismo si combatte con le operazioni di intelligence. Sperare di sconfiggerlo lanciando bombe su di uno Stato straniero è come provare ad uccidere una zanzara dando fuoco alla camera da letto del vicino.
Infine, credo che sia opportuno concludere questo breve articolo con un messaggio per i nostri acerrimi nemici.
Cari terroristi, sarà anche vero che noi occidentali siamo una massa inerme di consumatori senza spina dorsale, ma potete stare certi che siamo pronti a morire quando si tratta di difendere i nostri valori.
Per questo motivo, io dico che siete stati fortunati a non mettere piede dentro lo stadio.