Lo Chiamavano Jeeg Robot. La Mia Recensione Doppia

Ho deciso di dedicare una recensione doppia a Lo chiamavano Jeeg Robot, un film che, oltre ad aver ottenuto uno straordinario successo di pubblico, ha vinto ben sette David di Donatello – tra cui spiccano il premio per il “miglior regista esordiente” e quello per il “miglior attore protagonista”.  Se non lo avete ancora visto, non dovete preoccuparvi, non anticiperò nulla della trama.

Per ciascun aspetto del film troverete un giudizio molto critico – che ho chiamato “versione Sgarbi” – ed un giudizio molto positivo – che ho chiamato “versione Mollica”. Come spesso accade, la verità sta nel mezzo.

La sceneggiatura (versione Sgarbi)
Il ragazzo della porta accanto, goffo ma buono, ottiene casualmente dei superpoteri. Imprevedibilmente, dovrà scontrarsi con un uomo molto cattivo, dotato anch’egli di superpoteri. Indovinate chi vince? Colpo di genio: il protagonista si innamora di una bella ragazza e scopre se stesso grazie alla incredibile forza di questo grande amore. Fine. Non si tratta di avere la sensazione del déjà vu, si tratta di avere la certezza del plagio. Immagino come devono essersi svolte le estenuanti sessioni creative tra i due autori. Voglio dire, avranno lavorato giorno e notte per eliminare qualsiasi elemento di originalità dalla trama. Non è facile. “E se il pubblico scoprisse alla fine del film che il protagonista è, in realtà, molto più cattivo dell’antagonista?”. “Ma sei matto? Questo elemento ricorre in meno del 10% del materiale già edito! Metti che qualcuno scopre che ci siamo inventati qualcosa di nuovo, che figura ci facciamo al bar?”.
Scherzi a parte, il punto è che avreste potuto riassumere la trama di questo film senza averlo mai visto. Immagino che non sia necessario aggiungere altro.

La sceneggiatura (versione Mollica)
Mi piace la contaminazione, il multiculturalismo, il dialogo. Per questo motivo, ho trovato molto carina l’idea di prendere la trama di milioni di fumetti – tipicamente giapponesi/americani – e di film – tipicamente americani – e trapiantarla nel contesto della attuale periferia romana. Gli autori non hanno copiato nulla. Si sono più correttamente ispirati, hanno più correttamente citato, omaggiato, fatto l’occhiolino. Insomma, nella trama di questo film ritroviamo tutti gli elementi essenziali del fumetto di supereroi: il protagonista inizialmente impacciato e goffo, lo scontro tra bene e male, la drammatica storia d’amore… ma nessuno deve scandalizzarsi per questo, è ovvio che sia così, è come dire che, andando a cena nel nostro ristorante preferito, ci aspettiamo di gustare antipasto, primo, secondo e dolce. La trama di Lo chiamavano Jeeg Robot ripercorre consapevolmente i passaggi obbligati di un film di genere, ma ogni tappa di questo percorso è stata ricostruita con gusto, e sapiente ironia.

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La recitazione (versione Mollica)
Il cinema non è la televisione e non è il teatro. Ovviamente, ciascuno di questi ambiti richiede un diverso codice stilistico e interpretativo. In linea di massima, potremmo dire che la recitazione cinematografica deve essere meno “carica” di quella teatrale, ma più marcata di quella televisiva. Tuttavia, se volessimo semplificare brutalmente il discorso, accomunando i tre ambiti citati, potremmo dire che l’attore ha sempre e comunque un solo dovere: essere credibile. Per questo motivo, il cast del film si merita i molti premi che ha ricevuto. Nessuno tra loro dà l’impressione di interpretare un ruolo: il viso, la voce, il corpo, tutto ciò che hanno e che mettono in scena è perfettamente  coerente con le battute che pronunciano, con il personaggio che interpretano, con il contesto narrativo in cui sono stati calati. Non farete nessuna fatica a lasciarvi prendere per mano, mentre gli attori vi illudono, raccontandovi una splendida favola.

La recitazione (versione Sgarbi)
La verità è che in questo film nessuno recita. Claudo Santamaria interpreta Claudio Santamaria; Ilenia Pastorelli interpreta Ilenia Pastorelli; Luca Marinelli interpreta Luca Marinelli e Antonia Truppo interpreta Antonia Truppo. Insomma, stiamo parlando di quattro caratteristi che hanno naturalmente la faccia, naturalmente il ritmo e naturalmente la voce per rappresentareche è cosa ben diversa dall’interpretareun certo personaggio. Due menzioni d’onore. La prima è per Ilenia Pastorelli: il ruolo che le hanno assegnato è stato chiaramente pensato per Micaela Ramazzotti, ma c’è una bella differenza tra recitare e imitare un collega. La seconda è per Antonia Truppo: ho dovuto cercare “Antonia Truppo” su wikipedia e guardare a lungo le foto per essere certo che facesse davvero parte del cast… Spero che la Truppo non si offenda, ma il suo contributo può essere paragonato a quello che sta avendo Alfio Marchini nella campagna elettorale per le prossime elezioni amministrative. Se dicessi “residuale” le starei facendo un complimento.

La colonna sonora (Versione Sgarbi)
Consta di ventisette brani strumentali che, in media, non superano i trenta secondi di durata. Più la sigla del cartone animato a cui è ispirato il film. Per fortuna, c’è una piccola variazione sul tema: il brano è cantato da Claudio Santamaria ed è stato arrangiato molto diversamente rispetto alla versione originale. “Finalmente un elemento di originalità!”, direte voi. Purtroppo no. Anche questo è stato già fatto. Basta una semplice ricerca su youtube per ascoltare moltissime versioni “alternative” di Jeeg Robot. Molti anni fa, addirittura a San Remo, un musicista successivamente tornato nell’ombra presentò la sua splendida  versione piano e voce – speravo l’avessero scelta per i titoli di coda, ma sono rimasto deluso anche in questo.

La colonna sonora (Versione Mollica)
La musica strumentale è tecnicamente impeccabile, mai invadente, sottolinea con mestiere i punti salienti della trama. L’unica canzone – interpretata egregiamente da Santamaria – vale da sola il prezzo del biglietto. Certo, si tratta di un brano che è già stato rivisitato molte volte in passato, ma  chi ama il jazz sa che questo è il destino di tutti gli standard. Conosco centinaia di versioni di autumn leaves e di all the things you are. Ma questo non significa che i jazzisti smetteranno di proporne di nuove in futuro. E poi, la citazione è il codice stilistico che si trova alla base del film.

Conclusioni

Una infanzia felice (Versione Sgarbi)
Se avete più di sedici anni, questo film vi farà lo stesso effetto di un bicchier d’acqua. Se avete meno di sedici anni,  iniziate a leggere tanti fumetti ed a guardare tanti cartoni animati. Tra pochi anni, potreste scrivere la trama di un film di successo.

Ne vale la pena (Versione Mollica)
Un “prodotto” ben congegnato e ben confezionato. Un film godibile sotto tutti i punti di vista.  Lo chiamavano Jeeg Robot è uno dei motivi per cui possiamo ancora sperare nel cinema italiano. Da vedere, assolutamente.

Autore: Guido Saraceni

Professore di Filosofia del Diritto e di Informatica Giuridica, Facoltà di Giurisprudenza, Università degli Studi di Teramo - In viaggio.

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