1. In macchina con il mio amico Marco detto Fritz.
-Sai, Fritz, io non compro mai nulla alle fiere.
-Perché?
-Perché nel commercio ci sono poche ma fondamentali regole da rispettare. Una di esse recita: puoi tosare molte volte una pecora, ma la potrai scuoiare una sola volta.
-Andiamo alla Fiera, mica al Mattatoio.
-Voglio dire: il fornaio dove vado tutti i giorni sa benissimo che, se proprio deve, potrà anche tosarmi, ma non mi scuoierà. Mi segui?
-No. Parla chiaro.
-In una Fiera, i commercianti sono viaggiatori, stranieri… persone che non hai mai visto prima e che non rivedrai mai più… si sentono liberi di rifilarti una fregatura.
-Ho capito, la tua è la regola fondamentale della truffa, non la regola fondamentale del commercio.
-Ti ho già detto che “il modello di imprenditore è il rapinatore”?
-Comunista.
-Ignorante.
Seguono venticinque minuti e trentadue secondi di silenzio ostile ed affilato come una lama.
Appena arrivati, resto parecchio sorpreso dalla distanza che separa la biglietteria dal parcheggio. Per raggiungere l’entrata dobbiamo infatti camminare molto, tra scale (im)mobili e percorsi obbligati. Non posso fare a meno di domandarmi come potrebbero fare un bambino o una persona anziana ad affrontare questo pellegrinaggio.
2. Pranzo.
Dopo aver pagato il biglietto, finalmente entriamo alla Fiera d’Oriente. Il nostro amico Andrea detto Abramo ci sta aspettando da almeno mezz’ora. Come noi, è molto affamato. Purtroppo, non siamo d’accordo sul cibo: Abramo ha messo gli occhi su l’unico ristorante indonesiano in Italia, io preferirei il sushi e Fritz vorrebbe un kebab. Iniziamo dunque a discutere. In un crescendo di malumore e cattiva coscienza, ci rinfacciamo la scelta di essere venuti alla Fiera; la decisione di incontrarci proprio oggi ed il fatto di non aver invitato lo Smilzo – ciascuno pensava che l’avrebbe chiamato l’altro. Con ben poca signorilità, Fritz si spinge sino a recriminare sulla biglia di Nuvolari che, a suo dire, mi avrebbe prestato durante la gita scolastica della quinta elementare. Decidiamo che ciascuno mangerà per conto suo. E Dio per tutti.
Seguono venticinque minuti e trentadue secondi di silenzio ostile ed affilato come una lama.
3. La spada.
Sarà perché la musica assordante che si sente in questo posto ha ottenebrato la mia capacità di discernimento, sarà perché il cibo mi ha messo di buon umore, sarà che voglio provocare Fritz, sta di fatto che dopo il pranzo tradisco ogni mio principio ed inizio a comprare di tutto. Acquisto i biglietti d’auguri in stile origami; l’incenso da regalare a mia cugina Simona, il cd di canzoni orientali; le bacchette da sushi; la calamita a forma di geisha; un fermacapelli per la mia carissima amica F. Dopo circa un’ora – quando nel portafoglio restano solo dieci euro- mi trovo improvvisamente di fronte ad uno stand che vende spade. Resto colpito dal venditore: un vero commerciante d’armi orientale. Il suo viso, dai tratti tipicamente indiani, è adornato da mille piercing e segnato da una profonda cicatrice sulla guancia sinistra. I suoi occhi, neri come una notte senza stelle, raccontano le infinite tempeste che avrà sicuramente dovuto affrontare per comprare ed importare queste armi.
Fritz si avvicina e mi sussurra all’orecchio:
-La spada costa cinquanta bombe, le hai?
-Veramente no.
-Allora mi sa che ti tocca chiedere uno sconto.
-Scherzi? Non conosci la regola fondamentale della contrattazione?
-…
-“Chi parla per primo perde”.
-Ma non era “chi picchia per primo picchia due volte”?
Incurante dello scialbo sarcasmo di Fritz, provo ad usare le mie proverbiali conoscenze antropo-psicologiche. Decido che sfrutterò il linguaggio universale del corpo. Afferro la spada, la poso. Guardo negli occhi il commerciante. Niente. Afferro di nuovo la spada, la stringo al petto, la poso. Guardo dritto negli occhi il commerciante. Niente. Provo una terza volta. Ancora niente. Il ragazzo è un duro. Non mi lascia altra scelta.
-“Buon giorno, vorrei acquistare questa spada, ma… se guarda bene, noterà che c’è un piccolo graffio…”
Al mio fianco si è materializza una vecchietta. Avrà più o meno l’età della pietra. Il suo viso è una ragnatela di rughe. La voce, graziosa quanto un uncino che graffia su di una lavagna.
-“mi scusi, giovane, ma cosa sta facendo?”
-“come dice, signora?”
-“ non ha visto il prezzo? Le sembra educato chiedere uno sconto?”
-“Mha, veda… mercanteggiare fa parte della loro cultura. Se non lo facessi, il nostro ospite si sentirebbe profondamente offeso” .
-“Dice, giovane? Comunque sia non mi sembra il caso di mettere in dubbio la bontà della merce davanti a tutti”.
-“Guardi, signora, non si tratta di mettere in dubbio, è solo un modo per dialogare.”.
Non c’è niente da fare, non molla. Mi rivolgo dunque al mercante, sperando che possa mettere fine a questa ignobile pantomima.
-“Non è forse vero che nella vostra cultura è consuetudine che il compratore contratti il prezzo della merce?”
-“E io che ne so? Mi padre c’ha er negozio a via de la Scrofa… Fate n po’ come ve pare, basta che nun me mettete in mezzo a me.”
Facendo leva sulla mia innata capacità retorica, riesco ad ottenere un prestito da Fritz. Ma devo promettergli che, assieme al denaro, restituirò anche la biglia di Nuvolari.
4. Conclusioni
Dopo aver molto riflettuto, ho capito che la Fiera d’Oriente rappresenta la perfetta metafora dell’Europa: 1) paghi per entrare, affascinato dalle bugie che ti hanno raccontato sulla bellezza del posto; 2) una volta dentro, la prima cosa che scopri è che la struttura è stata progettata senza tenere in minima considerazione le esigenze dei più deboli; 3) il tanto decantato dialogo interculturale si limita allo stretto necessario per far funzionare uno sconfinato centro commerciale; 4) quando finalmente inizi ad orientarti, ed a capire come funzionano le cose, sei costretto ad uscire perché sei al verde e nessuno dei tuoi vecchi amici è disposto a prestarti altri soldi