Tre Joker

La mia recensione – no spoiler

In questo capolavoro ci sono, a mio avviso, almeno tre messaggi su cui vale la pena riflettere.

1. Il L’idea che la malattia mentale sia (anche) un problema di relazione tra il singolo e l’ambiente in cui vive. Ovvero: il malato mentale non è malato “da solo”, ma è malato perché è inserito all’interno di un contesto che acuisce – o addirittura causa – il disturbo. La mente è relazionale. Il disagio psichico è interpersonale. Anche per questo motivo, il più importante manuale diagnostico dei disturbi mentali include – dal 2013 – vasti riferimenti alle diversità culturali. Come si suol dire: “io… mah, anche voi però… boh”

2. La differenza tra comprendere e giustificare. Il film ha sollevato infinite polemiche perché a qualcuno è sembrato una giustificazione della violenza criminale. Ogni volta che ci chiediamo perché un criminale abbia o non abbia agito in un certo modo, puntualmente, arrivano orde di invasati a rimproverarci di volerlo giustificare, ma le cose non stanno affatto così: se voglio capire come ho fatto a prendere l’influenza sto ricostruendo un’eziologia, non sto affermando che l’influenza non debba essere curata o – peggio ancora – che sia un bene. Provo a capire come vi salti in mente di mettere la panna nella carbonara ma questo non significa che non vi meritiate l’ergastolo ostativo solo per averlo pensato.

3. Senza padre non si vive. Il protagonista è alla ricerca del padre che non ha mai avuto. Come aveva capito benissimo Freud, abbiamo tutti bisogno di una figura paterna con la quale identificarci. Come aveva capito benissimo Brad Pitt – Fight Club -, la nostra generazione ha visto i padri fuggire – ritirarsi nel proprio mondo o scappare con altre donne. I padri hanno abdicato alla propria funzione educativa, hanno perso autorevolezza, sono entrati in profonda crisi – in crisi, più in generale, è entrato il maschile. Ma senza padre non si vive.

Questa assenza lacerante ferisce nel profondo la psiche, costringendo il bambino a rincorrere per tutta la vita un fantasma. A forza di correre manca il fiato. Qualcosa si spezza.

Il film propone questi e altri temi in maniera molto forte, con uno stile cupo – allucinato – che ipnotizza lo spettatore dalla prima a l’ultima scena, favorendone l’empatia col protagonista, la riflessione e in una certa misura la catarsi.

Voto: 30 e lode

Un lungometraggio scritto, girato e recitato come pochi. Uno di quei film che fanno bene al cinema

Autore: Guido Saraceni

Professore di Filosofia del Diritto e di Informatica Giuridica, Facoltà di Giurisprudenza, Università degli Studi di Teramo - In viaggio.

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